Lo scorso 16 maggio Giampiero Gualandi avrebbe sparato all’ex collega Sofia Stefani avendo già “in mente l’omicidio”: lo riporta l’Ansa citando la ricostruzione del gip di Bologna Domenico Truppa, che lo scorso sabato ha disposto il carcere per il 62enne di Anzola dell’Emilia. Ecco cos’altro sappiamo.

La ricostruzione del gip dell’omicidio di Sofia Stefani ad Anzola dell’Emilia

La 33enne è morta dopo essere stata colpita al volto da un proiettile; stando a quanto ha riferito agli inquirenti il 62enne fermato per omicidio, sarebbe accaduto tutto nel corso di una colluttazione scoppiata in seguito a una lite che i due avrebbero avuto in caserma perché lui “voleva lasciarla”.

Sembra che, pur essendo entrambi impegnati (Gualandi sposato, Stefani fidanzata), avessero infatti intrapreso una relazione; poi l’uomo sarebbe tornato sui suoi passi e Stefani – che nel frattempo aveva perso anche il lavoro come vigilessa – avrebbe iniziato a “pressarlo” per tornare con lei.

Il giorno in cui è morta, lo scorso 16 maggio, l’avrebbe chiamato per ben 15 volte. Tra i messaggi rinvenuti sul telefono cellulare di lui ce ne sono alcuni particolarmente indicativi dello stato di esasperazione in cui si sarebbe trovato da mesi. “Non ho più energia”, “sono esausto“, scriveva l’uomo.

Secondo il gip che ne ha disposto il carcere “aveva già in mente l’omicidio” quando l’ex collega e amante andò a fargli visita alla “Casa gialla”: nel corso di un litigio, Gualandi avrebbe premuto il grilletto della pistola che aveva ritirato dalla cassetta di sicurezza poco prima (a suo dire in vista di un’esercitazione di tiro che si sarebbe tenuta nei giorni successivi) e l’avrebbe colpita sotto l’occhio sinistro.

Poi, consapevole di ciò che aveva fatto, avrebbe chiamato i soccorsi simulando “una tragica fatalità”. Lo riporta sempre l’Ansa. È Il Messaggero invece a parlare della “spiccata pericolosità sociale” che il gip avrebbe riscontrato in lui nel valutare le esigenze cautelari.

I dubbi sulla versione di Giampiero Gualandi

“Mi è sembrato strano perché non aveva motivo di prendere l’arma, ma non gli ho chiesto nulla”, avrebbe riferito agli inquirenti, riferendosi al ritiro della pistola da parte del 62enne, uno dei suoi colleghi. A riportarlo è il Corriere della Sera, che aveva già raccolto la testimonianza della comandante Silvia Fiorini, secondo la quale, ricoprendo un ruolo d’ufficio, l’uomo non avrebbe avuto bisogno di girare armato, soprattutto in virtù del fatto che l’esercitazione di cui ha parlato in sede di interrogatorio non era stata ancora fissata.

È solo uno dei tanti elementi da chiarire. Per ricostruire l’accaduto sarà effettuata una perizia balistica sull’arma. L’obiettivo è non solo isolare eventuali impronte digitali e tracce di Dna presenti sulla pistola – per capire, ad esempio, se Stefani l’abbia impugnata nel corso della presunta colluttazione – ma anche risalire alla traiettoria dello sparo. Resta in stato di shock, intanto, la comunità colpita dalla tragedia, che ricorda la vittima con affetto.

Il fidanzato, che quel giorno la aspettava a Bologna, ha riferito sempre al quotidiano milanese che l’avrebbe perdonata: sembra che sapesse della relazione che aveva intrattenuto con Gualandi, come la moglie di quest’ultimo e pare anche che le due si fossero confrontate al riguardo.

Stefani sognava di lavorare come vigilessa e ci era riuscita, incontrando il 62enne sul luogo di lavoro; poi, poco fa, il contratto non le era stato rinnovato. In una lettera che i genitori le hanno lasciato nei pressi della caserma in cui è stata uccisa la sua viene definita “una vita intensa, ma breve”.