Tra il 31 maggio e il primo giugno dello scorso anno è stato arrestato per l’omicidio della fidanzata Giulia Tramontano, avvenuto a Senago, in provincia di Milano, il 27 maggio precedente: ecco dove abitava e che lavoro faceva prima di macchiarsi del delitto Alessandro Impagnatiello, che ora rischia una condanna all’ergastolo.

Dove abitava e che lavoro faceva Alessandro Impagnatiello prima dell’omicidio di Giulia Tramontano

Quando è stato arrestato, un anno fa, Alessandro Impagnatiello lavorava come barman per l’Armani Bamboo Bar di via Manzoni, a pochi passi dalla fermata Montenapoleone della metropolitana di Milano. Nato a Paderno Dugnano, nel Milanese, nel 1993, da anni ormai viveva a Senago in un’abitazione di via Novella.

È lì che, secondo le ricostruzioni, uccise la fidanzata convivente Giulia Tramontano mentre era incinta di sette mesi. I fatti risalgono alla sera del 27 maggio 2023. La giovane, di 29, era appena rincasata da un incontro (al quale lo stesso Impagnatiello era stato invitato) con l’altra ragazza che lui frequentava, una sua collega.

Con tutta probabilità, se lui non l’avesse aggredita, lo avrebbe lasciato: stando a quanto ha raccontato l’amante, infatti, Giulia le aveva confidato di volersi costruire una nuova vita altrove. Aveva scoperto le bugie che il 30enne le aveva raccontato e che, addirittura, anche l’altra ragazza era rimasta incinta di lui.

I carabinieri del Ris, ascoltati ieri, 23 maggio, in aula nel corso del processo a suo carico, hanno stabilito che la colpì in salotto, dopo aver spostato il tappeto e aver coperto il divano (che non presentavano tracce di sangue). Giulia, secondo i medici legali, morì dissanguata dopo aver ricevuto 37 coltellate, molte delle quali alle spalle.

Il bimbo che portava in grembo – e che avrebbe voluto chiamare Thiago – si spense dopo di lei, a causa “dell’insufficienza vascolare provocata dall’emorragia materna”. Impagnatiello poi provò a bruciarli. Abbandonò il corpo della giovane, dopo averlo tenuto nascosto nel suo box auto, in cantina e nel bagagliaio dell’auto, quando gli inquirenti lo stavano già cercando.

La confessione, poi l’arresto

Presentandosi in caserma, la sera del 28 maggio il 30enne aveva infatti denunciato la scomparsa di Giulia, raccontando a coloro che l’avevano raccolta che la giovane si era allontanata a piedi mentre lui era al lavoro, probabilmente perché la sera prima avevano litigato. Disse loro che quando era uscito di casa, la mattina, la ragazza stava ancora dormendo e che quando era rientrato non l’aveva più trovata.

In realtà era già morta: era stata uccisa nientemeno che da lui. Lo avrebbe confessato il 31 maggio nel corso di alcuni accertamenti del Ris, quando era ormai certo che – se pure non avesse parlato – sarebbe stato scoperto, perché il test del luminol – come in effetti ha fatto – avrebbe mostrato le tracce di sangue che aveva cercato di ripulire.

La Procura è convinta che avesse premeditato tutto (anche perché, dagli accertamenti tossicologici, è emerso che avrebbe somministrato per mesi, alla giovane e al feto, veleno per topi, ammoniaca e cloroformio) e gli contesta, oltre all’omicidio pluriaggravato, anche i reati di occultamento di cadavere e interruzione non consensuale di gravidanza.

La difesa, rappresentata dagli avvocati Giulia Geradini e Samanta Barbaglia, potrebbe puntare a dimostrare che si trattò, al contrario, di un “delitto d’impeto”, cioè che Impagnatiello agì a causa di un “black out mentale” perché affetto da un “disturbo ossessivo paranoico”: tra i teste che ha proposto di ascoltare in aula ci sono, non a caso, uno psicologo e uno psichiatra.