Il prossimo 30 maggio uscirà nelle migliori sale italiane il film “Rosalie” della regista Stéphanie di Giusto, interpretato da Nadia Tereszkiewicz nel ruolo della protagonista e Benoît Magimel nella parte del coprotagonista. La storia è liberamente ispirata alla vita di Clementine Delait, donna nata nella metà dell’800 affetta da irsutismo grave e che da adulta decise di smettere di radersi il volto per incrementare l’affluenza nel suo bar.
“Rosalie”, recensione
Francia, fine dell’800.
Rosalie (Nadia Tereszkiewicz) è talmente giovane da avere il cuore ancora ricolmo di sogni. È così ingenua che da suoi occhi incantevoli, di un blu profondo come l’oceano, sgorga la speranza che scende giù rapida e inarrestabile come l’acqua di un fiume in piena. Non conosce ancora la meschinità umana e, come una bambina, ogni sera prima di coricarsi tiene in mano un crocifisso stringendoselo sul petto chiedendo a Dio di realizzare i suoi desideri più grandi. La mattina si sveglia, con un enorme sorriso sulle sue morbide labbra piene, con un’euforia che le esplode in seno all’idea di quel che di bello potrebbe accaderle nell’arco di una nuova giornata. Davanti allo specchio si prepara con dedizione, acconciando i suoi capelli color miele in un elegante raccolto e riempendosi il capo di fiori freschi. Si cuce gli abiti da sola, splendidi, che con una gradevole linea avvitata mettono in risalto il suo corpo minuto ma dalle curve affascinanti.
È proprio bella Rosalie, con la pelle chiarissima e levigata come un foglio di carta e davvero si fa fatica a capire come mai il padre voglia darla in moglie a un uomo molto più grande di lei, caduto in disgrazia quando la sua locanda ha perso la maggior parte dei clienti. Eppure lei sembra felice all’idea di sposarsi con quel signore, di nome Abel (Benoît Magimel), squattrinato e non particolarmente avvenente. È taciturno, dallo sguardo un po’ torvo, con l’espressione dimessa e assorta su quel viso non propriamente armonioso, ma che possiede un non so che di fascinoso. Ha servito in guerra Abel e la battaglia gli è costata una lunga cicatrice che gli attraversa la schiena e un dolore che quasi mai lo abbandona. Oltre ad avere un bar fa l’artigiano e ha il vizio di andare a prostitute, perciò ricevere quindicimila franchi per maritarsi con una fanciulla dalla bellezza fiabesca gli sembra un irripetibile affare da cogliere al volo. Ma Rosalie, mentre incede a passo lento verso l’altare tenuta al braccio dal suo sposo attempato, porta in volto un’aria di terrore e preoccupazione, come se nascondesse qualcosa che sta per essere rivelato.
La coppia convola comunque a nozze senza intoppi e il padre lascia la figlia alla sua nuova vita da donna adulta. È però durante la prima notte che, dinnanzi alla debole luce di una candela accesa, suo marito spogliandola scopre un segreto mai confessato: la ragazza soffre di un grave irsutismo. Il suo stupendo petto è ricoperto di lunghi peli ricci che, passando tra i seni tondi, scendono giù fino ad arrivare all’ombelico. La sua magnifica schiena, a forma di violino, è adombrata da uno strato abbondante di calugine bionda. Abel ne è disgustato e la rifiuta, umiliando quella piccola sposa che si vergogna di se stessa. Col cuore ridotto in pezzi minuscoli, si corica da sola nel letto nuziale addormentandosi sul cuscino inzuppato di lacrime. Ma Rosalie è dolce ma caparbia e riesce a convincere il consorte a tenerla con sé e a farla lavorare nella locanda.
Una mattina mentre gli unici due clienti fissi stavano sfogliando il giornale davanti a una tazza di caffè, commentando a proposito di un articolo che parlava di una donna con le mani a forma di chele d’aragosta, fa con loro una scommessa: a trenta giorni a partire da quel momento lei si sarebbe fatta crescere una lunga barba folta e loro le avrebbero dovuto dare in cambio quaranta franchi. Passato un mese tutto il paese si raduna nel locale di Abel e Rosalie scende le scale, facendo un plateale ingresso per sfoggiare la sua fitta e morbida barba bionda. Inaspettatamente la rivelazione del suo irsutismo non desta repulsione ma vispo entusiasmo che, giorno dopo giorno, riempirà quella taverna risollevandola dalla miseria e consentendo al compagno di sanare i suoi debiti col primo cittadino del loro paese al quale doveva parecchi soldi.
Ma col passare del tempo, a causa di una predica del pastore della comunità, pregiudizi e maldicenze cominceranno a diffondersi a macchia d’olio portando odio e malvagità nell’esistenza di quella giovane donna buona e gentile nei riguardi di chiunque. Finanche sputi e spintoni verranno riservati a Rosalie, che distrutta cadrà in depressione, annichilita dal peso della brutalità umana, odiando se stessa. Riuscirà a salvarsi rialzandosi in piedi e a farsi amare di nuovo da tutti grazie al suo animo adorabile?
“Rosalie”, critica
Lo scorso 19 maggio, al cinema Barberini, ho assistito alla presentazione in anteprima del film francese “Rosalie” della regista Stéphanie di Giusto, che uscirà in Italia il prossimo 30 maggio. Questa drammatica pellicola d’essai narra la storia di una donna barbuta che, durante la fine dell’ottocento, lotta per affermare la sua identità senza vergogna. La sceneggiatura di questo lungometraggio si ispira, liberamente, alla vita di Clementine Delait, nata il 5 marzo del 1865 a Chamousey, in Lorena, affetta davvero da irsutismo e che nel corso della sua esistenza, a un certo punto, deciderà di smettere di radersi il viso. Utilizzerà questa caratteristica per incrementare i guadagni nel suo bar, che venne rinominato Café de la Femme a Barbe.
L’attrice Nadia Tereszkiewicz, ospite in sala, ha dichiarato che per lei è stato particolarmente arduo inizialmente accettare di vedersi con la barba, ma, esattamente come la protagonista, con l’avanzare delle scene ha imparato ad accogliere quel rigoglioso pelo sulle guance non facendoci quasi più caso, fino a sentircisi pienamente a suo agio. Non è stato invece per nulla piacevole apprendere, stando a quanto dichiarato da Nadia, che il coprotagonista Benoît Magimel, al di fuori delle riprese, per un considerevole lasso di tempo si rifiutava addirittura di parlarle perché vederla con la barba, se pur finta, lo infastidiva talmente tanto da non volerla nemmeno guardare. Anche lui andando avanti, esattamente come il suo personaggio Abel, è riuscito a superare quello che evidentemente rappresentava uno scoglio insormontabile, come se quella peluria non la notasse neanche più. Ma, sinceramente, trovo di cattivo gusto rifiutarsi di dialogare con una collega per un banale motivo estetico, tanto più se si trattava di un trucco di scena.
Ottimo film triste ma gradevolissimo e ben recitato, devo però sottolineare le sorprendenti prove attoriali della protagonista che è stata particolarmente brava. Quattro stelle su cinque.
Devo fare un ringraziamento speciale ad Alessandro Borghi, da sempre grande sostenitore del settore cinematografico a prescindere dalla carriera, per aver condiviso l’evento della prima, che purtroppo non ha ricevuto grossa pubblicità, invitando tutti a recarsi al Barberini, benché non facesse parte né del cast né della produzione. Ahimè, l’affluenza nelle sale sta diminuendo rapidamente rendendo sempre più vicina la possibilità di perdere un’arte sacra come quella del cinema. Di conseguenza anche la sponsorizzazione di eventi come questi sta diventando minima. Quindi grazie mille a Borghi, senza il quale mi sarei persa la possibilità di ascoltare da vicino l’opinione dell’attrice Nadia Tereszkiewicz.