Mining di criptovalute, il Venezuela ha deciso di scollegare tutte le attività presenti al suo interno
Il Ministerio para el Poder Popular para la Energía Eléctrica (MPPEE), l’autorità governativa che si occupa della gestione politica dell’energia elettrica all’interno del Venezuela, ha deciso di scollegare tutti gli impianti di mining disseminati lungo il territorio nazionale.
Il motivo della drastica decisione è da individuare nei ripetuti blackout che si stanno verificando lungo il Paese. A causarli le carenze nella generazione di energia di cui il Venezuela soffre a causa delle sanzioni statunitensi. Non è però ancora chiaro se il provvedimento sia definitivo, oppure soltanto di carattere temporaneo.
Il Venezuela taglia le forniture agli impianti di mining presenti nel Paese
Il governo del Venezuela sta cercando di razionalizzare l’utilizzo di energia elettrica all’interno del Paese. Nell’opera di riorganizzazione intrapresa sono incappate le attività più energivore, una categoria che comprende anche gli impianti di mining disseminati lungo il territorio nazionale. È stato il ministero dell’energia ad annunciare il provvedimento tramite i suoi canali social.
Un input subito recepito da Rafael Lacava, governatore dello Stato di Carabobo, ove sono concentrate la maggior parte delle industrie venezuelane. Il risultato dell’operazione intrapresa si è concretizzato nel sequestro di oltre 11mila ASIC e nella disconnessione di un gran numero di mining farm. Lo stesso Lacava ha dichiarato l’inammissibilità del mining in un momento in cui la popolazione soffre per le continue interruzioni nella fornitura di energia.
L’operazione di repressione del mining non è però esaurita con questo intervento. Ancora Lacava ha infatti affermato che molte altre installazioni di questo genere saranno scollegate nei prossimi giorni. Non si tratta peraltro di una novità assoluta, considerato come proprio di recente siano stati confiscati 2mila dispositivi per il mining a Maracay. Operazione che si è resa necessaria nel quadro di una iniziativa contro la corruzione.
Venezuela e mining di criptovalute, un rapporto complicato
Il rapporto tra Venezuela e mining non è mai stato facile. Le autorità governative non si sono mai fatte pregare per colpire questa attività, in più di un’occasione. L’operazione più clamorosa in questo campo è stata quella condotta nel passato mese di marzo, quando il fornitore di energia nazionale ha chiuso gli impianti minerari a livello nazionale nel contesto di indagini sulla corruzione che coinvolgevano la compagnia petrolifera statale.
È stato il procuratore generale Tarek William Saab ad affermare in quell’occasione che i funzionari stavano conducendo vendite di petrolio non autorizzate, con l’aiuto del dipartimento di crittografia. La vicenda ha visto anche l’arresto di diversi funzionari. Tra di essi spiccano Joselit Ramírez, ex capo della Sovrintendenza nazionale delle criptovalute (Sunacrip) e l’ex presidente della PDVSA Tareck El Aissami. Proprio il Sunacrip è attualmente in fase di ristrutturazione. Una fase interlocutoria in cui anche il quadro di riferimento del mining di criptovalute rimane incerto.
In questo contesto, occorre anche ricordare quanto avvenuto la settimana passata in una località dello stato di Aragua. Una perquisizione da parte delle forze dell’ordine, infatti, ha portato alla scoperta di un capannone con 2.300 computer collegati in serie per condurre l’attività di decriptazione dei codici tipica del mining.
La popolarità delle criptovalute in Venezuela
Una scoperta che testimonia la popolarità dello stesso in un Paese come Il Venezuela costretto a convivere con le sanzioni USA. Una parte della popolazione, proprio per bypassare queste difficoltà, sfrutta i costi irrisori dell’energia elettrica per aumentare le proprie entrate. Mentre una parte ancora più cospicua ha ormai da tempo deciso di scambiare la valuta fiat ricevuta sotto forma di stipendi e pensioni in criptovaluta. Considerata, nonostante la sua volatilità, meno rischiosa dell’inflazione cui è sottoposto il bolivar.
Una popolarità, quella del mining, che aveva costretto già nel 2020 il governo ad intervenire. All’epoca, infatti, Ildemaro Villaroel, Ministro venezuelano per l’Habitat e la Casa, aveva dichiarato che non sarebbe più possibile svolgere attività di mining nei quartieri di proprietà statale facenti parte del progetto abitativo “Gran Misión Vivienda”.
Si tratta un piano di sviluppo urbano del governo teso a garantire case a basso costo alle fasce più deboli della popolazione colpite dalla crisi economica. Un intervento che potrebbe presto essere adottato a livello nazionale.