Massimo D’Antona aveva appena compiuto 51 anni quando, il 20 maggio del 1999, fu freddato a colpi di pistola dopo essere stato raggiunto in strada da due membri delle Nuove Brigate Rosse: ecco chi era, dove è stato ucciso e perché. Stamattina in via a Salaria a Roma si terrà una cerimonia in suo onore.
Chi era Massimo D’Antona: docente universitario e consulente del lavoro
Nato a Roma nel 1948, D’Antona aveva svolto i primi incarichi di docente del diritto del lavoro all’Università di Catania e alla Seconda Università di Napoli per poi approdare alla Sapienza. Allievo del famoso giurista Renato Scognamiglio, si era specializzato, in particolare, nel pubblico impiego.
Nel 1996, durante il primo governo Prodi, era stato amministratore straordinario dell’ENAV, la società pubblica che si occupa di gestire il controllo dei voli; quando fu ucciso, nel 1999, da un anno ricopriva il ruolo di consulente del ministro del Lavoro: i movimenti extraparlamentari di sinistra lo accusavano di aver contribuito alla flessibilizzazione del lavoro e all’introduzione delle prime forme di precariato.
Lo consideravano un simbolo, un esponente della “Borghesia Internazionale” che combattevano, il complice di un piano contro i lavoratori e i loro diritti. Soprattutto pensavano che fosse un bersaglio facile da colpire: per questo lo presero di mira.
Dove è stato ucciso Massimo D’Antona e perché?
L’omicidio risale alle prime ore del mattino del 20 maggio del 1999. D’Antona era appena uscito dall’abitazione in cui viveva insieme alla sua famiglia a Roma quando, all’altezza dell’incrocia tra via Salaria e via Adda, fu avvicinato da un uomo e da una donna.
Alcuni testimoni raccontarono di averli visti parlare brevemente; non si sa cosa si siano detti: forse i due volevano solo essere sicuri che fosse l’uomo che stavano cercando. Di lì a poco, infatti, gli spararono contro nove colpi d’arma da fuoco, uno al cuore. D’Antona fu immediatamente soccorso e trasportato in ospedale, dove, attorno alle 9, si spense nonostante i tentativi dei medici di salvarlo.
La rivendicazione dell’agguato arrivò qualche ora dopo. Il messaggio, di ben 14 pagine, portava la firma delle Nuove Brigate Rosse, un partito ancora perlopiù sconosciuto nato dalle ceneri delle vecchie Br, operativo in Italia tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta. Le due persone che erano state viste in compagnia di D’Antona, i suoi assassini, erano Mario Galesi e Nadia Desdemona Lioce.
Il processo a carico dei responsabili
In 17, molti anni dopo, finirono a processo per la morte del giuslavorista: dieci perché facevano parte della banda armata; sette, più nello specifico, per aver preso parte, in un modo o nell’altro, all’omicidio. Alcuni furono assolti; altri, come Lioce, vennero condannati a pene pesantissime.
Galesi, che nel 2002 si era macchiato anche dell’omicidio di Marco Biagi, altro consulente del governo, a quel punto era morto: nel 2003, durante un normale controllo di polizia su un treno regionale diretto a Firenze, aveva iniziato a sparare sulla folla, uccidendo l’agente che gli aveva chiesto i documenti, morendo a sua volta a causa delle ferite riportate nel corso della sparatoria.
Lioce, che era con lui, era stata fermata. Ancora oggi è reclusa in regime di 41 bis nel carcere “Le Costarelle” de L’Aquila, dove ha trascorso gli ultimi mesi della sua vita anche il super boss mafioso Messina Denaro, che lo scorso settembre si è spento a causa di un tumore al colon che da tempo lo affliggeva.