Ha destato raccapriccio l’aggressione a colpi di coltello sul volto di Lavinia Limido da parte dell’ex compagno Marco Manfrinati che le ha anche ucciso il padre sopraggiunto per difenderla.
Dalle ricostruzioni, quello accaduto è stato l’epilogo tragico di uno stillicidio rivendicativo agito da un uomo che non accettava la parola fine posta dall’ex compagna ad una storia di maltrattamenti e che da quel momento aveva assunto i contorni della persecuzione da cui la donna cercava di riparare se stessa, il figlio piccolo e tutta la sua famiglia.
Aggressione Lavinia Limido, parla la Psicoterapeuta Alexia Di Filippo
Lavinia Limido aveva dovuto intraprendere l’iter legale del caso, che purtroppo però non ha scongiurato il dramma.
Partendo da tale assunto, Livia Ventimiglia e Simone Lijoi nella loro trasmissione “AAA cercasi stabilità”, in onda su Radio Cusano Campus, mi hanno posto degli interrogativi che si impongono al fine di comprendere questa terribile vicenda:
Ci troviamo di fronte all’ennesima tragedia annunciata?
Sembrerebbe così; dalle dichiarazioni della mamma di Lavinia Limido, la donna ricoverata con gravissimi tagli al volto e alla carotide, il cui padre è stato ucciso perché intervenuto a salvarla, si apprende che l’intera famiglia viveva nell’incubo da quando la figlia era scappata di casa col proprio bambino di solo un anno nel tentativo di sfuggire ai maltrattamenti dell’allora compagno Marco Manfrinati, che temeva sarebbero potuti esitare in tragedia.
Da quel momento, l’uomo avrebbe preso a perseguitare la giovane e tutta la sua famiglia che le aveva costruito attorno un disperato castone protettivo, sollecitando le istituzioni ad attivarsi per arginare la furia rivendicativa di Manfrinati, che nel tempo si sarebbe reso responsabile di danneggiamenti e minacce aggravati ed era prossimo al giudizio in tribunale per l’accusa di stalking. Malgrado la situazione, l’uomo incredibilmente girava libero, avendo ricevuto un anno prima un divieto di avvicinamento all’ex compagna che, come indicano i fatti, ha violato in scioltezza.
In verità, il PM che si stava occupando del caso aveva contezza del rischio che correvano la donna, il piccolo figlio e
l’intera famiglia di lei, tanto da aver chiesto l’arresto di Manfrinati, richiesta che purtroppo è stata respinta.
Questo caso terribile mostra, sotto vari aspetti, la debolezza del sistema di difesa della donna vittima di maltrattamenti e violenza: se pensiamo infatti che tutto ciò è accaduto ad una ragazza benestante, sorretta dalla sua famiglia che l’aveva nascosta in una villetta fuori mano facendole indossare una parrucca, arrivando persino ad assumere una guardia del corpo per proteggerla e che sapeva muoversi in ambito legale dato che la madre di Lavinia è avvocato, come potrebbe mai sentirsi una qualsiasi ragazza proveniente da un ambiente sfavorito, sola e con difficoltà economiche, di fronte ad una prospettiva simile e rispetto alla possibilità di denunciare?
Che si migliorino le leggi è sacrosanto, ma l’iter deve essere garantente per la donna che sporge denuncia, affinché tutti gli sforzi per prevenire e contrastare la violenza di genere non siano vanificati esitando in fatti tragici.
Manfrinati riconosciuto non pericoloso
Manfrinati secondo la testimonianza dell’ex suocera sarebbe stato riconosciuto in sede di CTU dallo Psichiatra non pericoloso e socialmente ben inserito: come si spiega allora l’accaduto?
Non si conosce pubblicamente l’intero contenuto della perizia tecnica di ufficio in cui lo Psichiatra incaricato avrebbe considerato Manfrinati non pericoloso e socialmente ben inserito, tuttavia già queste due affermazioni non possono che farci constatare, a fatto delittuoso avvenuto, che la capacità manipolativa dell’uomo è stata tale da aver fuorviato persino un professionista in sede peritale, a tal punto da indurlo a sottovalutare le motivazioni per cui l’uomo era sottoposto a detto accertamento, sopravvalutando invece il buon inserimento sociale che poteva vantare.
Ciò sorprende, in quanto gli esperti, di solito, sanno che quest’ultimo fattore può indicare un alto livello di funzionamento sociale e lavorativo dell’individuo, riscontrabile anche in personalità coinvolte in fatti criminosi molto gravi e che si rivelano, concomitantemente a tale caratteristica, dei predatori affettivo relazionali.
Certamente, alla luce dei fatti, ci si auspica che la responsabilità di tale valutazione ispiri una maggiore cautela nel periziare chi viene accusato di maltrattamenti in famiglia che possono costituire il prodromo del femminicidio, dell’omicidio suicidio e delle stragi familiari.
Altra problematicità, in contesti di questo tipo, è costituita dalle accuse di minacce e danneggiamenti che sono di solito sottovalutate, perché tali reati sono considerati sostitutivi dell’atto violento, mentre invece sono tipicamente epifenomenici ed anticipatori delle aggressioni dirette sino all’atto omicidiario.
Quanto detto mi conduce una volta di più a confermare la necessità e l’urgenza, espressi anche da alte cariche giudiziarie, di formare i Magistrati, gli operatori che raccolgono le denunce di violenza ma anche, a questo punto, i periti coinvolti a vario titolo nell’ iter legale a tutela delle donne e dei minori vittime di abusi, in merito a quali siano le peculiarità dei reati collegati alla violenza di genere e le caratteristiche di chi li commette.
La stupisce che l’assassino fosse un avvocato che si occupava con un certo successo di separazioni?
No, non mi stupisce, come il fatto che, per come è stato descritto, Manfrinati avesse un’alta opinione di sé, che fosse socialmente ben inserito ed anche riconosciuto.
Queste caratteristiche infatti sono tipiche del predatore affettivo relazionale ad alto funzionamento che sceglie una professione per cui gli altri gli si affidino, in cui percepisca di avere una posizione di dominanza e a motivo della quale riceve apprezzamento sociale.
Non stupirà dunque, alla luce di quanto affermato, che una delle quattro categorie di aggressore domestico per Elbow sia proprio quella del difensore.
Per questo occorre fare attenzione a chi si propone come un riferimento per gli altri, perché potrebbe nascondere un lato oscuro e volerne approfittare. Se questo dunque vale per chi vanta una professione accreditata e che quindi ha tutto da perdere vessando familiari e/o assistiti, ancora maggiore cautela andrebbe osservata con il plotone di figure non regolamentate di mental, mind, love, life, e così via, coach, nonché counselor non psicologi (resi fuorilegge per determinazione del Ministero della Salute nel 2019), che si muovono indisturbate e talvolta incarnano le inquietanti vesti di maestri di vita, “fuffaguru”, capi spirituali, guaritori, gregari reclutatori di gruppi settari, financo esorcisti, assurgendo tipicamente al disonore della cronaca per fatti illeciti, talvolta gravissimi, come la strage di Altavilla, il cui presunto ispiratore si definiva mental coach.
I predatori affettivo relazionali costruiscono pazientemente una facciata di finta amabilità e rispettabilità sociale che non regge a lungo nell’interazione con i familiari stretti.
Questi ultimi (come chiunque li riconosca anche incidentalmente per chi sono davvero), se osano metterli in discussione sottraendosi al loro controllo, vengono odiati, diffamati, possibilmente distrutti nella reputazione, aggrediti e talvolta soppressi, per due motivi intuibili: hanno inferto una ferita al loro ego ipertrofico che ritengono intollerabile e sono in grado di smascherarli socialmente, cosa che temono più di ogni altra.
E’ paradigmatico in tal senso che Manfrinati, dopo aver commesso una sanguinosa aggressione ed un omicidio abbia esclamato al momento dell’arresto: “Giustizia è fatta, ora sto bene”, perché riteneva legittimo quanto compiuto per aver subito l’onta di non poter vedere il figlio a motivo delle accuse formulate a suo carico dall’ex compagna e da tutta la sua famiglia. Nucleo che infatti odiava al punto di beffarsi dell’ex suocera accorsa sul luogo della carneficina chiedendole: ”Come sta tuo marito?” Riferendosi al coniuge che le aveva appena ucciso, sfoggiando un sorriso agghiacciante, immortalato dai fotografi e diffuso da tutte le testate giornalistiche.
Dunque terminerei questo intervento col raccomandare a tutti, ma particolarmente alle ragazze ed alle donne, nello scegliere un partner, un professionista di riferimento, ma anche un amico, di porre la massima attenzione ai suoi comportamenti, non facendosi fuorviare dal tipo di professione esercitata e/o da quanto sia socialmente riconosciuto, perché sono fattori che possono ingannare e costituire una maschera dietro cui è possibile si nasconda un predatore affettivo relazionale.
Dr.ssa Alexia Di Filippo – Psicologa e Psicoterapeuta