“Sono le 18:04 del 14 maggio del 2000, e la Lazio è Campione d’Italia”. Quindici parole incastonate nella storia biancoceleste, pronunciate da Riccardo Cucchi. Un esplosione di sentimenti, mai assopiti ma vivi nell’immaginario collettivo dei tifosi, che ancora oggi le ripetono con emozione. Così come successo nella giornata di ieri, durante l’anniversario di uno scudetto storico e sorprendente. Sui sociale le dove celebrazioni, e tra i post e i commenti appare il nome di Riccardo Cucchi, voce della storia biancoceleste.
“Solo oggi mi rendo conto di come quelle parole abbiano sortito questo effetto romantico”, spiega Cucchi, che poi apre il suo cuore: “Dopo la fine di Perugia ho pianto in postazione, non mi vergogno a dirlo”. Lacrime di gioia private, visto che l’ex radiocronista ha comunque sempre messo il professionista davanti a tutto, guadagnando il rispetto di tutte le tifoserie d’Italia: “Una cosa stupenda, bisogna sempre avere rispetto di tutti”, sottolinea Riccardo Cucchi in esclusiva a Tag24.
La Lazio e lo scudetto del 2000, le parole di Riccardo Cucchi a Tag24
Lo scudetto della Lazio targata Sven Goran Eriksonn nel 2000 è una delle pagine più romantiche della storia biancoceleste, e Riccardo Cucchi la vissuta così come raccontata.
D: Avresti mai immaginato di riuscire ad entrare nel linguaggio del pallone?
R: Me ne sto rendendo conto oggi. Non immaginavo potesse accadere ciò che sto vivendo ora, e mi fa tanto piacere, soprattutto perché i laziali associano lo scudetto alle mie parole, in un orario peraltro strano come le 18:04 del 14 maggio.
D: In quell’istante, quando hai pronunciato quelle parole, ti è scattato qualcosa dentro?
R: Dopo aver pronunciato quelle parole, se si ascoltano con attenzione, ci si può accorgere di una “o” strozzata, quella di campioni, che era il singulto che stava uscendo fuori e che avevo tenuto a bada ma stava apparendo minacciosamente, da inguaribile laziale (ride). Una volta terminato il collegamento, ho avuto una sola reazione: ho pianto in postazione, come un qualsiasi tifoso che gode di un successo così meraviglioso. Ho avuto la stessa reazione anche in Curva Nord il 12 maggio del ’74, quando ho vissuto quell’emozione da tifoso.
D: Sarebbe stato diverso se ti fossi trovato in postazione all’Olimpico invece che a Perugia?
R: E’ stata una circostanza singolare quella che mi ha portato a urlare quella frase. Se è successo è perché a Perugia ci fu lo slittamento per pioggia. Se fossero terminate in contemporanea, quella frase l’avrebbe pronunciata il mio amico e collega Bruno Gentili. Il giorno in cui fui designato per Perugia, ho immaginato a cosa sarebbe successo in caso miracolo, sarebbe toccato a lui; ma il fato mi è venuto incontro, permettendomi di raccontare tutto quello che è successo dopo.
Questione di cuore
Lo scudetto del 2000 della Lazio è un diamante incastonato nella memoria dei tifosi e di Riccardo Cucchi. Che ha permesso ad entrambe le parti di creare un legame indissolubile.
D: Cosa si prova dopo vent’anni a godere di questo amore nei tuoi confronti?
R: E’ bellissimo, mi fa effetto. Io vado allo stadio da abbonato, in mezzo ai tifosi, mentre percorro la strada per raggiungere il mio settore vengo fermato ripetutamente da ragazzi giovani, da papà con figli piccoli che non sanno chi sia, chiedendomi un selfie. Ma la cosa più bella è quando mi fermano con il loro telefono davanti la faccia, e in romanesco mi chiedono “a Cù, ridiccelo”. L’ho ripetuta migliaia di volte quella frase, e mi fa sempre piacere.
D: Sei uno dei pochi che è sempre piaciuto a tutti i tifosi d’Italia, indimenticabile lo striscione della Curva Nord dell’Inter alla tua ultima telecronaca che ti ha elogiato. E’ la soddisfazione più grande?
R: Quando per quarant’anni ti chiedono quale sia la tua squadra del cuore, e puntualmente rispondi che lo sapranno solo alla fine della mia carriera, fa capire il tipo di orientamento che ho avuto. La bussola era orientata sempre sul lato dell’obiettività, senza far trasparire simpatie. Lo striscione dei tifosi interisti contro l’Empoli è stato bellissimo, li ringrazierò per sempre anche perché ho condiviso il racconto del Triplete di Mourinho. Immagino la sorpresa di chi pensava che fossi romanista, interista, juventino e pochissimi laziali, e questo mi da soddisfazione, perché il mio primo obiettivo era di rispettare i sentimenti del tifoso. Mentre raccontavo Perugia-Juventus avevo in mente due cose: tenere a bada il vulcano che stava esplodendo dentro di me, e dall’altra non perdere di vista lo stato d’animo dei tifosi bianconeri.