Burkini o “abito da bagno a copertura integrale“, come riporta il sito della Nike, è la trovata del noto brand sportivo che strizza l’occhio al fondamentalismo islamico. Una mossa di marketing non nuova sul mercato: questi completi di tessuto tecnico, che avvolgono le donne dalla testa ai piedi, sono apparsi per la prima volta in commercio qualche anno fa.

A febbraio 2020 è stata lanciata online e nei negozi la collezione “Nike Victory”, della quale si potevano acquistare i pezzi anche separati, scegliendo tra l’hijab, i leggins e la tunica. Oggi è possibile acquistare questi “costumi da bagno” oltre che sul sito della Nike, anche presso altri giganti dello shopping sul web come Zalando o Shien. Un segnale che il prodotto funziona e che il commercio si sta allargando? Si tratta di moda, di una tendenza o di qualcos’altro?

Vedere queste immagini può rappresentare un conflitto con la lotta che moltissime donne stanno portando avanti nei Paesi musulmani. Come l’Iran ad esempio, dove non portare il velo vuol dire finire in prigione o peggio. Il sangue versato nelle proteste contro i soprusi della polizia morale, le rivolte che vengono portate avanti tutti i giorni, rischiano di vanificarsi con questa moda?

Per cercare di comprendere meglio quello che si nasconde dietro il fenomeno, le scelte economiche di grandi marchi e lo zampino dei fondamentalisti islamici, Tag24 ha intervistato Souad Sbai, giornalista, saggista e attivista di origine marocchina, presidente dell’Associazione Acmid Donna Onlus, da anni impegnata nella difesa della condizione delle donne arabe immigrate in Italia.

Burkini Nike, per l’attivista Souad Sbai: “Non è islamico. E’ una moda di cui si approfitta il brand”

D: Sul sito della Nike è possibile acquistare “abiti da bagno a copertura integrale”. L’immagine della modella che indossa il prodotto lascia perplessità. Cosa ne pensa? Nei Paesi arabi è obbligatorio indossare indumenti di questo tipo?

R: Quel costume non ha nulla a che vedere con la religiosità musulmana. Non è islamico. È una moda nata quattro o cinque anni fa. Nasce con l’idea di creare scompiglio più che di andare a fare un bagno tranquillamente al mare. Io non ho ricordi legati a questo tipo di abbigliamento sulle spiagge del Marocco… Le donne non andavano al mare vestite così, anzi chi andava in spiaggia aveva il costume da bagno. Non è una previsione obbligatoria, si tratta di una moda molto recente. Una moda di cui Nike si approfitta, sull’onda del momento.

Molte modelle sono pagate fior di quattrini per pubblicizzare questo tipo di abbigliamento, visto che non fanno soldi con i costumi normali. E’ un fenomeno che non ha nulla a che vedere con la religione. Si sposa bene con il fondamentalismo estremista, che cerca di imporre alcune novità sulle donne, sempre per marcare il territorio. Una mossa per dire: ‘Siamo qui, abbiamo un’identità diversa, siamo diversi, imponiamo la nostra cultura e dovete accettarla’.

Prima con l’hijab, poi con il niqāb, fino ad arrivare alla copertura totale per le donne. È un progetto dei fratelli musulmani, che asseconda le loro idee di conquista. Usano tutti i metodi per creare dissenso e disordini, perché loro vivono di questo, del vittimismo; è una loro abitudine. Vittimizzare tutto così da avere spazio, affinché le persone si sdegnino e concedano loro diritti.

Il burkini della Nike per Souad Sbai: “Strizza l’occhio al fondamentalismo. Nessun versetto del Corano prevede questa usanza”

D: Si tratta di una mossa di Nike che strizza l’occhio al fondamentalismo islamico? Gli integralisti sperano di fare leva sul comune sentire dell’opinione pubblica, sempre in virtù di quel vittimismo di cui parlava prima?

R: Esatto. E’ proprio così. Da una parte ci sono le aziende che assecondano le ricerche di mercato e che, a prescindere da tutto, puntano alla pubblicità, brutta o bella che sia. E’ grave. Ho notato che molti moderati per esempio non comprano più Nike per principio. Come era successo con Sephora per quanto riguarda i trucchi. Si tratta di marketing, tutto qui: quel velo, quelle foto, coperte dalla testa ai piedi.

È tutto un marketing sulla testa delle donne. Non sanno che stanno facendo un danno, perché quegli indumenti piano piano diventano obbligatori e identitari per alcuni estremisti. La donna che non li indossa poi viene discriminata.

D: C’è il rischio che questa vicenda si tramuti in qualcosa di più grande? Oltre a Nike questi indumenti ora sono disponibili online anche su Zalando e Shein

R: Sì, certo. È già una moda. Bisogna vedere quanto sarà usato questo tipo di abbigliamento. Si tratta di un’ideologia, un tentativo di avanzata dei fratelli musulmani. E’ successo anche con la carne halal (cioè il cibo preparato secondo le norme della legge islamica, con certificazione delle macellerie, ndr.): prima non esisteva, eppure i fondamentalisti hanno cominciato ad imporne l’uso.

Se si vanno a consultare i testi non è obbligatorio mangiare la carne halal. Così come non c’è nessun versetto nel Corano che parla di burkini. E’ stato inventato dai fratelli musulmani. Hanno inventato tante restrizioni per le donne e fanno politica sulla testa delle donne. E sempre le donne dovranno capire il gioco di cui sono vittime. Ma le donne stanno iniziando a capire, a mio avviso.

Vedo una luce da alcuni Paesi arabi che si stanno modernizzando. Come ad esempio il Marocco, che fa progressi sul diritto di famiglia, anche toccando alcuni versetti del Corano. In altri Stati ci sono donne impegnate nella politica e in tanti diversi ambiti. Qui in Europa invece la donna musulmana è diventata una sorta di marchio del regime fondamentalista. Il mio messaggio per i giovani è di non cadere nella trappola dell’Islam radicale, che non fa altro che riportare la donna al medioevo totale.

La moda del burkini rischia di vanificare le lotte delle donne musulmane contro il velo: i casi nello sport

D: Chi propone il burkini e chi, ad esempio nel mondo dello sport, porta avanti le proteste e lotta per la libertà, scegliendo di non indossare il velo. Come è accaduto in Iran nel 2022, quando la pattinatrice Nilour Mardani sul podio ha deciso di non mettere l’hijab. E sempre in Iran, il caso della atleta di arrampicata, Elnaz Rekab, che in gara senza velo, ha sfidato il regime di Teheran… Con la trovata del burkini si rischia di vanificare questi gesti di rivolta?

R: Esatto è un paradosso. Abbiamo donne che muoiono, per non mettere quel velo e che combattono tutti i giorni. La Nike non si accorge di questo. Non si accorgono che le donne in Iran muoiono tutti i giorni perché non vogliono portare quell’indumento.

Però, nello stesso tempo, abbiamo avuto una tennista egiziana, Mayar Sherif, che gioca senza velo e in pantaloncini. Di recente ha vinto una partita. Questo dimostra che c’è una battaglia all’interno dello stesso islam. Tra le donne che vogliono rimanere libere, normali, e donne che supportano l’integralismo.

Ecco una foto della tennista Mayar Sherif: