Cinque anni dopo averne fatto richiesta, dopo tutta una serie di ricorsi e di rigetti, gli avvocati Claudio Salvagni e Paolo Camporini, che rappresentano la difesa di Massimo Bossetti, hanno potuto visionare per la prima volta i reperti che nel 2018 portarono alla condanna in via definitiva all’ergastolo del muratore di Mapello per l’omicidio della 13enne Yara Gambirasio, consumatosi a Brembate di Sopra, in provincia di Bergamo, nel 2010.

Abbiamo parlato di ciò che è successo nel corso dell’udienza – che avrebbe dovuto tenersi lo scorso novembre ed era poi stata rinviata – con uno dei due legali, che ci ha rivelato che, dopo gli ultimi sviluppi, certamente andranno avanti: il loro obiettivo è arrivare a fare nuovi esami e poi, eventualmente, chiedere la revisione del processo a carico del loro assistito, che si è sempre proclamato innocente, definendosi vittima di un errore giudiziario.

Caso Yara, l’intervista all’avvocato di Massimo Bossetti, Claudio Salvagni

La visione dei reperti da parte della difesa in tribunale a Bergamo

Avvocato, come è andata l’udienza? Cosa è emerso dalla visione dei reperti?

“L’udienza di ieri era volta alla verifica dell’esistenza dei reperti e quindi alla possibilità di controllare anche il loro stato di conservazione. Insieme al collega Paolo Camporini abbiamo potuto verificare che erano custoditi all’interno di tre scatole sigillate, ciascuno in una busta di plastica trasparente e abbiamo appurato che il loro stato potrebbe consentire nuove indagini: sono stati già fatti dei prelievi, ma sia il tessuto degli slip che dei leggins è intatto, così come quello della maglia e del giubbotto (gli abiti che la vittima indossava al momento del suo rapimento, ndr).

Sicuramente possono essere ancora indagati. Mi ha fatto particolare impressione il fatto che le scarpe, che immaginavo molto sporche, essendo state in un campo per tre mesi (Yara scomparve nel novembre del 2010 e fu trovata morta il febbraio successivo, ndr), siano pulite, soprattutto nella parte interna, quando invece i calzini sono sporchi: è una cosa che mi fa riflettere, mi fa pensare – come abbiamo detto tante volte – che la povera Yara sia stata rivestita.

Per quanto riguarda i campioni di Dna, la parte più sensibile – perché è in quei campioni che c’è il Dna denominato ‘ignoto 1’, quello che ha portato alla condanna Massimo Bossetti – la situazione è più complessa: sono stati conservati a temperatura ambiente, quindi sostanzialmente dissoluti. Oltre ai 54 campioni c’erano, comunque, 23 provette di diluizione (significa che dai campioni originali ne sono stati creati altri, meno concentrati).

È la dimostrazione che, diversamente da quanto è stato affermato nelle sentenze di Appello e di Cassazione, la perizia sul Dna si sarebbe potuta fare. Si tratta di un elemento importante e nuovo, che conferma come le due sentenze che ho citato abbiano in sé quello che oso definire un ‘falso storico’: non è vero che i campioni di Dna erano esauriti, ce n’erano”.

I prossimi passi: verso la revisione del processo?

Come vi muoverete adesso? Lo sapete già?

“Faremo il punto della situazione per decidere le prossime mosse. La visione dei reperti è stato un passaggio importante, obbligato, ma non può bastare: ci interessa esaminare i reperti e arrivare alla revisione del processo, che rimane il nostro obiettivo principale. Ragioneremo sull’iter da seguire”.

Il suo assistito è soddisfatto? Non ha rilasciato commenti?

“Massimo Bossetti era collegato in videoconferenza, quindi ha assistito a tutta l’udienza. Aspettava questo momento da tanti anni; mi ha detto: ‘Finalmente si è aperta una piccola luce, speriamo che possa diventare un vero e proprio squarcio di luce’”.