Manuela Murgia aveva 16 anni quando, il 5 febbraio del 1995, fu trovata senza vita nel Canyon di Tuvixeddu, a Cagliari. Il giorno precedente, poco prima di pranzo, era uscita dall’abitazione in cui viveva insieme alla sua famiglia nel quartiere di Is Mirrionis dopo aver ricevuto una misteriosa telefonata e aver lasciato sul tavolo il cordless, un rossetto e un profumo: i familiari sono convinti che dovesse incontrare qualcuno – dei testimoni, non a caso, l’avrebbero vista salire su un’auto blu – e che, per motivi ignoti, sia stata uccisa.
Manuela Murgia trovata morta a Cagliari nel 1995, per i familiari non fu un caso di suicidio
La Procura chiamata a fare sul caso dopo il ritrovamento del corpo della ragazza ipotizzò subito un omicidio, ma, per mancanza di elementi, alla fine chiese l’archiviazione delle indagini per suicidio (come è avvenuto nel 2012 dopo una riapertura dell’inchiesta).
“I familiari, che all’epoca non avevano un legale, e che da ormai tanti anni convivono con il dolore, hanno deciso ora, con il nostro sostegno, di rivolgersi a una serie di esperti – tra i quali una criminologa e un medico-legale – per provare a ricostruire la vicenda. Una volta raccolti dei nuovi elementi, chiederemo di tornare ad indagare”, ha spiegato a Tag24 l’avvocato Giulia Lai, che insieme al collega Bachisio Mele rappresenta le sorelle e il fratello della 16enne.
“Quando abbiamo preso copia degli atti, qualche mese fa, ci siamo resi conto che alcuni aspetti non sono mai stati approfonditi – ha proseguito -. All’ipotesi suicidaria non crediamo: Manuela non aveva mai dato nessun segnale, in nessun modo, di voler interrompere la propria vita”. Del resto, quando uscì di casa senza avvisare i genitori (una cosa insolita, per lei), indossò un paio di jeans sui pantaloni del pigiama, come se si aspettasse di rientrare subito.
Tanti i dubbi sull’ipotesi del suicidio
Nel suo stomaco, nel corso degli accertamenti, furono trovati resti di semolino, come se, prima di morire, la giovane avesse mangiato: dove (sicuramente non a casa) e con chi non è mai stato chiarito. Come non è stato chiarito perché la cintura dei suoi pantaloni apparisse, al momento del ritrovamento, tagliata di netto e perché le suole in gomma degli stivaletti che indossava fossero praticamente pulite e non mostrassero segni di terriccio o sterpaglie.
L’ipotesi dei familiari è che Manuela non sia caduta, buttandosi, dagli oltre trenta metri di un costone del Canyon – come la Procura ha concluso dopo aver indagato -, ma che sia stata portata, forse trascinata, sul luogo – che tra l’altro non conosceva, essendosi trasferita con la famiglia a Cagliari appena un anno prima – dopo essere stata uccisa, da qualcuno che avrebbe anche risistemato con cura i suoi abiti per simulare un suicidio.
Sul suo corpo sarebbero stati trovati evidenti segni di percosse e violenza: sul collo, in particolare, c’erano ematomi riconducibili ad una manovra meccanica atta a far perdere i sensi alla ragazza, secondo i periti di parte. Sono solo alcuni degli elementi che lasciano pensare che dietro la sua morte possa nascondersi qualcosa.
I familiari puntano ad arrivare alla verità e sui social, da anni, lanciano appelli affinché chiunque sappia qualcosa si faccia avanti e parli. Gli avvocati Lai e Mele e il pool di esperti di cui si sono circondati per “risalire agli ultimi frangenti di vita” della 16enne stanno lavorando per la riapertura delle indagini. Argomento di cui si è parlato, di recente, anche in relazione al caso di Gravina.