Nella giornata di ieri, il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha ordinato a un impianto di mining di criptovalute posizionato nei pressi della base aeronautica di Warren, nel Wyoming, di interrompere le operazioni. Il motivo alla base dell’ordinanza è la minaccia alla sicurezza nazionale rappresentata dal fatto che l’azienda è da ricondurre a cittadini cinesi.

L’ordine rilasciato dalla Casa Bianca stabilisce che la società in questione, MineOne Cloud Computing Investment I LP, domiciliata nelle Isole Vergini britanniche, deve rimuovere tutti i miglioramenti e le attrezzature minerarie sulla proprietà situata entro un miglio dalla struttura militare di Cheyenne. Si tratta di una base che ospita i missili balistici intercontinentali Minuteman III, quindi un sito da proteggere in maniera capillare.

Le accuse alla base dell’ordinanza di Biden

A motivare il grave provvedimento della Casa Bianca è il fatto che la società, che ha acquistato la proprietà nel 2022, è stata accusata di aver condotto l’operazione e di aver iniziato a lavorarci sopra senza presentare istanza al Comitato per gli investimenti esteri negli Stati Uniti (CFIUS). Sarebbe stata una soffiata a spingere le agenzie governative ad avviare un’indagine su tale acquisizione. Almeno stando alle comunicazioni della stessa Casa Bianca.

In particolare, i lavori sarebbero stati condotti in un’area posizionata entro un miglio da FE Warren AFB a Cheyenne, nel Wyoming, considerata una base missilistica strategica. Il CFIUS ha esaminato e indagato questa transazione in conformità alle indicazioni fornite dal Congresso nel Foreign Investment Risk Review Modernization Act del 2018 (FIRRMA). Si tratta di disposizioni cui devono rispondere le transazioni immobiliari in prossimità di determinati soggetti sensibili statunitensi. Una catalogazione che riguarda anche la base in questione. 

L’ordinanza autorizza il procuratore generale degli Stati Uniti a “adottare tutte le misure necessarie” per farla rispettare. Al suo interno è citata la “presenza di attrezzature specializzate sulla proprietà utilizzata per condurre operazioni di mining di criptovaluta, alcune delle quali sono di origine estera e presentano notevoli rischi per la sicurezza nazionale”. Rischi che hanno quindi spinto verso l’epilogo.

Gli investimenti esteri non devono minare la sicurezza nazionale

A commentare l’accaduto è stata Janet Yellen, segretario del Tesoro, in un comunicato stampa. Al suo interno è possibile leggere: “L’ordine di disinvestimento odierno sottolinea il fermo impegno del presidente Biden nel proteggere la sicurezza nazionale degli Stati Uniti. Evidenzia inoltre il ruolo fondamentale di guardiano svolto dal CFIUS per garantire che gli investimenti esteri non minino la nostra sicurezza nazionale, in particolare per quanto riguarda le transazioni che presentano rischi per le installazioni militari sensibili degli Stati Uniti, nonché per quelle che coinvolgono attrezzature e tecnologie specializzate

Un commento cui ha fatto seguito quello del vice segretario del Tesoro per la sicurezza degli investimenti, Paul Rosen: “Se i partiti del CFIUS non sono disposti o non sono in grado di affrontare pienamente i rischi per la sicurezza nazionale, il CFIUS non esiterà a esercitare tutta la portata delle sue autorità, compresi i rinvii presidenziali, per affrontare il rischio”,

Anche le criptovalute entrano nella sfida tra Stati Uniti e Cina

Anche le criptovalute, quindi, entrano nella sfida tra Stati Uniti e Cina ormai in atto. Dopo aver colpito le aziende che producono cellulari e TikTok, la Casa Bianca inaugura un altro fronte, quello del mining, testimoniando una sorta di ossessione verso il gigante orientale.

Un atteggiamento che inizia però a far discutere anche all’interno del Paese. Tra i critici, va annoverato ormai da tempo l’ex segretario del Tesoro Hank Paulson, il quale indica come un errore dell’amministrazione Biden l’insistenza sul disaccoppiamento (decoupling) Stati Uniti-Cina proprio mentre il resto del mondo allarga i propri rapporti d’affari con Pechino.

Secondo Paulson la riproposizione fuori tempo massimo di un “muro di Berlino” tra i due Paesi demolisce i rapporti instaurati nel 40 anni precedenti. Decenni in cui fra Stati Uniti e Cina c’è stata una integrazione di beni, capitale finanziario e umano, e tecnologie.

Un mutamento iniziato peraltro con Trump alla Casa Bianca. Proprio il candidato repubblicano ha infatti immesso Huawei nella entity list. Stigmatizzato in particolare da Thomas L. Friedman, sul New York Times del 26 novembre del 2019. Queste le sue parole: “La Cina è nostro concorrente, partner economico, fonte di talenti e capitali, rivale geopolitico, non è nostro amico né nostro nemico”. Un monito che, per ora, è stato ampiamente disatteso dall’amministrazione democratica.