È stata condannata al massimo della pena Alessia Pifferi, la 38enne finita a processo per aver lasciato morire di stenti la figlia Diana, di appena 18 mesi, a Milano. Nel corso della sua arringa, questa mattina l’avvocato difensore della donna aveva provato a scardinare l’impianto accusatorio mosso nei suoi confronti dalla Procura, chiedendo ai giudici di assolverla.
Alessia Pifferi condannata all’ergastolo per aver lasciato morire di stenti la figlia Diana
Alessia Pifferi dovrà scontare una condanna all’ergastolo: è ciò che aveva chiesto ai giudici il pubblico ministero Francesco De Tommasi, che rappresenta l’accusa. Stando alla sua ricostruzione, la donna, di 38, avrebbe abbandonato la figlia di 18 mesi in casa (per andare a trascorrere sei giorni dal compagno) non solo accettando il rischio che potesse morire, ma deliberatamente, per fare in modo che ciò accadesse.
Avrebbe anteposto, cioè, “ai suoi doveri di madre i suoi bisogni di donna”. Secondo l’esperto Elvezio Pirfo, che l’ha visitata in carcere, al momento dei fatti era “totalmente capace di intendere e di volere”. Secondo la difesa, rappresentata dall’avvocato Alessia Pontenani, Pifferi sarebbe affetta, invece, da “turbe psichiche e deficit cognitivi” che non le consentirebbero di essere pienamente cosciente della realtà dei fatti. A dimostrarlo, dei documenti sul suo passato medico raccolti dopo la perizia.
Secondo lei, in pratica, la donna non andava lasciata da sola con la bambina e quando la abbandonò in casa in un lettino da campeggio – con solo un biberon di latte e dell’acqua – lo fece inconsciamente e andava condannata, dunque, per “abbandono di minore con morte”.
Se dovessi togliermi il cencio nero dalle spalle, vi direi che Alessia Pifferi è un mostro. Ha fatto una cosa terribile, tremenda. Ma non stiamo dando giudizi morali, qui si tratta di applicare la legge. Chiedo l’assoluzione: è evidente che non volesse uccidere la bambina e lo ha detto fin dall’inizio,
aveva dichiarato all’inizio della sua arringa nell’udienza che si è tenuta oggi a Milano, mettendo in evidenza il contesto di “incuria” in cui la donna sarebbe cresciuta.
Ai periti che gli domandavano cosa poteva succedere alla bambina rispondeva che poteva cadere dal lettino – ha spiegato – sente voci, sente odori che nessuno sente, è stata vittima di violenza sessuale, non è andata a scuola, ha un deficit cognitivo, psicomotorio, è vissuta senza un lavoro, in condizioni di estrema indigenza.
Lo riporta il Corriere della Sera. L’avvocato di parte civile, Emanuele Di Mitri, aveva chiesto un risarcimento per danno morale di 200mila e di 150mila euro per la nonna e la zia della bambina, che rappresenta. Per Pifferi, che ha definito una “donna lussuriosa”, aveva chiesto, come l’accusa, il massimo della pena.
La ricostruzione del delitto
I fatti risalgono al mese di luglio del 2022: stando a quanto ricostruito nel corso delle indagini, Alessia Pifferi lasciò da sola la figlia Diana, di 18 mesi, raccontando al compagno – che doveva incontrare – di averla affidata ai familiari e a questi ultimi di averla portata con sé.
Quando tornò a casa, sei giorni dopo, il suo corpicino giaceva senza vita sul lettino da campeggio dove l’aveva adagiata prima di partire. I carabinieri che per primi entrarono nell’abitazione hanno raccontato in aula che il suo frigo era vuoto, ma che, in compenso, la Pifferi possedeva almeno 30 abiti da sera diversi.
La difesa ha più volte puntato il dito contro la madre e la sorella, ritenendo che – in virtù dei suoi presunti problemi psichici – dovessero aiutarla a gestire la bimba; loro sostengono invece che la 38enne fosse totalmente in grado di farlo e si auguravano – come è accaduto – che venisse condannata all’ergastolo.
È un dolore atroce, si è dimenticata di essere una mamma. Deve pagare per quello che ha fatto. Se si fosse pentita e mi avesse chiesto scusa…ma non l’ha fatto. Ora non riuscirei a dirle nulla,
ha riferito ai cronisti presenti all’uscita dal Tribunale, dopo la lettura della sentenza, la nonna della bambina. Lo riporta l’Agi.