In tema di pensioni, per i lavoratori statali la scelta è quella di uscire subito dal lavoro avendo raggiunto i requisiti previsti per il pensionamento oppure continuare a lavorare fino a raggiungere il limite di età “ordinamentale” previsto per i lavoratori del pubblico impiego a 65 anni. Il caso potrebbe essere quello di un lavoratore nato nei primissimi anni ’60, che ha la possibilità di lavorare ancora qualche anno prima di raggiungere l’età di 65 anni, pur avendo già maturato i requisiti di pensionamento.

Un montante contributivo di 43 o 44 anni consentirebbe di scegliere di andare subito in pensione anticipata fin da subito (rispettando la finestra mobile di 3 mesi), a prescindere dall’età di uscita, con 42 anni e 10 anni di contributi versati per gli uomini o 41 anni e 10 mesi per le donne. Oppure continuare a lavorare.

Pensioni 65 anni, età ‘ordinamentale’: che cos’è?

Quali vantaggi si hanno nel prolungare la permanenza al lavoro pur avendo maturato i requisiti per andare in pensione, e attendere l’età ordinamentale dei 65 anni? Il caso riguarda i lavoratori del pubblico impiego per i quali, nel caso in cui dovessero raggiungere i requisiti di pensionamento prima dell’età ordinamentale (fissata a 65 anni), vige la scelta di arrivare a questa età ma non oltre. Il limite di età ordinamentale dei 65 anni consente, quindi, a chi abbia già maturato i requisiti di pensione di essere collocato d’ufficio a riposo, non potendo sforare questa età.

Il caso è quello, ad esempio, di un lavoratore che ha superato da poco i 60 anni di età ed abbia già maturato i requisiti contributivi per la pensione anticipata (ad esempio, ha già 43 anni di versamenti, sufficienti per l’uscita anticipata con 42 anni e 10 mesi di contributi).

Pensioni anticipate, i tre casi di uscita prima

La questione è chiarita dal ministero per la Funzione pubblica, il quale prende in considerazione proprio la pensione anticipata con 42 anni e 10 mesi di contributi degli uomini e 41 anni e 10 mesi di versamenti delle donne. I contesti sono tre. Nel primo, se il perfezionamento di questi requisiti avviene prima di compiere l’età di 65 anni e il dipendente presenta domanda di collocamento a riposo, la PA garantirà la permanenza in servizio fino alla decorrenza dei 3 mesi della finestra prevista per questa formula di pensionamento.

Diversamente, se il dipendente – pur avendo maturato i requisiti del pensionamento anticipato – chiede alla PA di rimanere a lavoro proseguendo il rapporto di pubblico impiego, potrà permanere fino all’età di 65 anni. Al compimento di questa età il dipendente sarà messo a riposo d’ufficio.

Infine, nel caso in cui il requisito della pensione anticipata dovesse essere raggiunto dopo il compimento dell’età di 65 anni ma prima dei 67 anni richiesti per la pensione di vecchiaia, al lavoratore potrà essere consentito di continuare a lavorare fino alla maturazione dei requisiti necessari per la pensione anticipata e alla decorrenza della finestra mobile di 3 mesi, prima di essere collocato a riposo.

Quali vantaggi se si continua a lavorare anziché andare in pensione?

Nei casi in cui il lavoratore si ritrova nelle possibilità di continuare a lavorare fino a 65 anni di età, il proseguimento del rapporto di lavoro avrebbe due vantaggi: il primo è quello di conseguire un assegno di pensione più elevato per effetto di una maggiore e ulteriore anzianità di contributi versati rispetto a quelli sufficienti per andare in pensione.

Inoltre, i lavoratori del pubblico impiego potrebbero avvantaggiarsi dei futuri rinnovi dei contratti della Pubblica amministrazione. Quello del 2022-2024 è in corso di trattative all’Aran, mentre il successivo è previsto per il 2025-2027. Rientrare nel periodo di rinnovo contrattuale significa avere un importo maggiore di liquidazione del trattamento di fine servizio, proporzionalmente all’aumento dello stipendio e del maggiore servizio prestato. Abbiamo trattato l’argomento anche in su come utilizzare il cumulo dei contributi per maturare prima i requisiti di pensione.