Come si è concluso il congresso dell’Associazione Nazionale Magistrati tenutosi questo fine settimana a Palermo? In pratica, con una porta sbattuta in faccia al Governo Meloni. Se ieri il Guardasigilli Carlo Nordio aveva cercato uno spiraglio di trattativa a proposito della riforma della giustizia che sta portando avanti dicendo che nessuno mai metterà in discussione l’autonomia dei magistrati dal potere politico dell’esecutivo, oggi, la mozione di chiusura del sindacato delle toghe è stata licenziata con queste parole:
“Non abbiamo da trattare. Il tema non è discutere dei diritti dell’impiegato-magistrato, ma è rappresentato da un problema di cultura istituzionale e costituzionale. Non abbiamo da trattare, ma da parlare alla politica e alla società intera per dire che questa Costituzione ha ancora molto da dire. Che, almeno per quanto riguarda la giurisdizione, non va toccata “.
Come si è concluso il congresso dell’Anm a Palermo?
Al termine del 36esimo congresso dell’Associazione Nazionale Magistrati, le toghe hanno approvato per acclamazione una mozione. E il loro presidente, Giuseppe Santalucia, a proposito dei rapporti col Governo Meloni messi a dura prova dal tentativo di riforma della giustizia portato avanti dal ministro Nordio, l’ha messa così:
“Nessuna mediazione, ma bisogna farsi capire dalla gente: dobbiamo saper comunicare per spiegare che non c’è nessuna chiusura corporativa, nessun atteggiamento da casta. Noi siamo magistrati, quindi siamo una porzione di cittadinanza, che vuole dire la propria. Poi decida la politica”.
La posizione dell’Anm sulle porte girevoli magistratura-politica
E sulle cosiddette “porte girevoli” politica-Magistratura, con tanti magistrati che mentre lavorano nei tribunali si dedicano alle loro carriere politiche, che posizione hanno espresso le toghe riunitesi a Palermo? Sostanzialmente, vogliono continuare ad avere le mani libere:
“Rivendichiamo l’importanza della partecipazione di tutti i magistrati al dibattito pubblico, non solo in quanto cittadini dotati di pari diritti rispetto agli altri, ma anche come portatori di esperienze, cultura, principi, ispirati ai valori costituzionali ed alla legalità”.
La posizione dell’Anm sulla separazione delle carriere
Tornando alla riforma Nordio, che lo stesso ministro ha avuto modo di spiegare nel corso dei lavori del congresso, i magistrati hanno tenuto a puntualizzare:
“Non siamo contrari alle riforme. Ma ci sono riforme buone e riforme cattive. Noi siamo contrari a una riforma che non apporterebbe alcun beneficio alla giustizia e che porrebbe in pericolo l’indipendenza della magistratura. Quindi, al ministro che ci dice che non è in discussione l’indipendenza del pubblico ministero, che il pm del domani da lui disegnato avrà la stessa indipendenza di quello odierno, diciamo: ma se così è, perché toccarlo? Teniamoci l’indipendenza che abbiamo già”.
Piuttosto, i magistrati dell’Anm, nella mozione finale, ribadiscono:
“La separazione delle carriere non è affatto funzionale a garantire la terzietà del giudice, ma appare piuttosto uno strumento per indebolire in modo sostanziale il ruolo del pubblico ministero e, conseguentemente, la funzione di controllo di legalità rimessa al giudice. Inoltre, lascia presagire che venga agitata come strumento di ritorsione e minaccia nei confronti della magistratura tutta”.
I magistrati, poi, si scagliano anche contro l’eventuale separazione degli organi di autogoverno:
“Porterebbe alla istituzione di una figura professionale di ‘pubblico persecutore’, molto lontana dall’attuale organo dell’accusa, che oggi è preposto alla ricerca della verità ed è garante del rispetto delle prerogative dell’indagato, anche nella fase della raccolta delle prove da parte della polizia giudiziaria”.
Per le toghe del presidente Santalucia, infine, con la separazione delle carriere propugnata dal ministro Nordio, si verrebbe a creare anche un problema sull’obbligatorietà dell’azione penale:
“Separare il pubblico ministero dal giudice avrebbe, inoltre, gravissime ripercussioni sull’obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale, indispensabile per l’attuazione del principio di eguaglianza del cittadino dinanzi alla legge. Per questo, le riforme prospettate indebolirebbero fatalmente il Csm, riducendone le competenze, eliminando quelle di maggior rilievo, compromettendone l’autorevolezza e alterando la proporzione tra componenti laiche e togate. E questo indebolimento pregiudicherebbe la realizzazione dell’uguaglianza formale e sostanziale dei cittadini”.