L’imposta di soggiorno è un tributo locale che le strutture ricettive o turistiche impongono a chi soggiorna: chi non paga? Ci sono, infatti, alcuni casi di esenzione dal versamento dell’imposta.

Spesso e in modo improprio, viene chiamata tassa di soggiorno. Perché in modo improprio? Le tasse sono pagate a fronte di un servizio, mentre le imposte sono dovute per finanziare servizi generali come la sicurezza o, per esempio, la sanità.

Infatti, l’imposta di soggiorno, perché si tratta di un’imposta, viene riscossa dai Comuni e investita in ambito turistico.

Nel testo, andremo a concentrarci sulle categorie di esentati dal suo pagamento, non prima di spiegare cos’è e perché si paga.

Cos’è l’imposta di soggiorno

L’imposta di soggiorno è stata introdotta per la prima volta all’inizio del 1900. Nel 1989 è stata abolita ed è stata introdotta nuovamente con il decreto legislativo n. 23/2011 che l’ha estesa a Comuni capoluogo di provincia, le unioni di comuni nonché i comuni inclusi negli elenchi regionali delle località turistiche o città d’arte.

Tra le maggiori potenzialità, nonché vocazione fondamentale italiana, il settore turistico è di cruciale importanza. Se parliamo di un settore particolarmente redditizio, dall’altra parte si comprende bene come necessiti di molti investimenti, per offrire servizi al passo con i tempi.

Ecco una delle ratio principali dell’imposta di soggiorno. Il suo scopo è proprio quello di riscuotere il capitale necessario per gli investimenti atti ad incrementare il turismo, non impattando sulle tasche dei residenti.

È bene precisare, inoltre, che non deve essere obbligatoriamente prevista da ogni Comune e ogni Comune decide autonomamente di adottarla oppure no. Può essere introdotta dai Comuni capoluogo di provincia, quelli inclusi negli elenchi delle località turistiche e anche le unioni comunali.

Si denota come, nel nostro Paese, ci troviamo un po’ in una situazione a macchia di leopardo, proprio per via della libertà di poter approvare una delibera e introdurre o meno l’imposta.

Chi deve pagarla

L’imposta di soggiorno deve essere pagata dai turisti che soggiornano, temporaneamente, in un Comune riconoscimento come ente impositore. Quindi, i destinatari della tassa di soggiorno sono gli ospiti delle strutture ricettive di un Comune che ha approvato una delibera che prevede il tributo.

Le modalità applicative sono diverse in base alle disposizioni di ciascun Comune. I parametri considerati e i diversi fattori sono:

  • Il periodo di soggiorno;
  • L’età del turista;
  • La disabilità;
  • La residenza;
  • L’importo fisso o variabile.

In linea di massima, chi la paga deve corrispondere un importo variabile da un euro a sette euro. Chi paga l’imposta di soggiorno? L’elenco di chi paga varia in base alla municipalità considerata, stando alla regolamentazione locale della tassa.

Devono pagare l’imposta coloro che soggiornano in strutture ricettive presente nel Comune come alberghi, agriturismi, Bed&Breakfast, stanze affittate con AirBnB.

Chi non paga l’imposta di soggiorno

Sono previste alcune esenzioni dal versamento dell’imposta di soggiorno. In primo luogo, l’imposta non deve essere pagata dai residenti all’interno del Comune, anche se dovessero soggiornare in una struttura ricettiva.

Oltre a ciò, sono previste, generalmente, altre esenzioni, ma variabili da Comune a Comune in base alle singole delibere.

Non devono pagare l’imposta di soggiorno:

  • Bambini fino al compimento di una certa età;
  • Disabili e i loro accompagnatori;
  • Malati e coloro che assistono ricoverati presso strutture sanitarie del luogo;
  • Soggiornanti in ostelli della gioventù;
  • Membri delle forze armate;
  • Autisti di pullman;
  • Accompagnatori turistici.

Chi non deve pagarla, sempre ammesso che rientri nelle categorie degli esonerati per quel preciso Comune, deve compilare una certificazione in cui dichiara di appartenere in una delle categorie esentate.