La luce di speranza e rassicurazione diventa ogni anno sempre più raggiante, in campo medico, grazie agli sviluppi dello studio e della ricerca di tutti gli specialisti che dedicano la loro vita con passione ed energia alla scoperta di nuove cure e metodi per salvaguardare il più possibile la salute dei pazienti.
Oggi, 10 maggio 2024, in occasione della giornata mondiale Lupus eritematoso sistemico (LES), (una malattia autoimmune che colpisce gli organi), lanciamo uno sguardo più profondo alla patologia, alle possibile cure, ne sfatiamo i miti, ne tracciamo la natura, traendo conclusioni utili ad una prospettiva brillante e carica di chiarimenti, grazie all’intervista esclusiva alla reumatologa Alessandra Ida Celia, attiva alla Lupus Clinic dell’Umberto I di Roma.
10 maggio, giornata mondiale del Lupus eritematoso sistemico, dalle cure alle origini: è una malattia rara?
R: Il lupus non è una malattia rara, come definizione propriamente detta. Ma è poco diffusa, per questo molto spesso non la si conosce bene. È anche particolare perché non si manifesta in maniera conclamata sempre.
A volte sopraggiunge in maniera sfumata e poi si sviluppa nel tempo, aggiungendo pian piano segni e sintomi che possono essere specifici.
Il lupus come si manifesta?
R: Il coinvolgimento cutaneo forse è quello che, quando è presente, per la natura stessa del segno, spesso allarma di più il paziente: si manifesta con un rossore sul volto, un rush, o con altre forme di manifestazioni sulla pelle più aggressive.
L’altra cosa molto frequente all’esordio sono i dolori articolari, che forse sono ciò che impattano di più sulla qualità della vita del paziente, perché poi di fatto limitano le attività quotidiane.
Il lupus quali organi colpisce?
R: Potenzialmente il lupus può coinvolgere tutti gli organi: quindi encefalo, rene, il cuore, in manifestazioni più o meno gravi, che a volte devono essere cercate, perché non danno al paziente un sintomo immediato.
La cosa importante da sapere è che ogni paziente affetto da lupus è diverso dall’altro, non è una malattia standard, è molto vasta.
Può avere coinvolgimenti d’organo molto severi o può essere limitato a un coinvolgimento cutaneo, articolare, più blando.
Perché viene questa malattia?
Affrontare il lupus significa sicuramente navigare attraverso in un labirinto di diagnosi complesse e sfide mediche non semplici da sostenere. Da quanto racconta la Dottoressa Celia, la diagnosi può essere lunga e difficile, poiché la malattia si manifesta gradualmente nel tempo.
Anche le cause del lupus restano in gran parte misteriose, sebbene fattori sono stati individuati dei fattori di sviluppo.
D: Le cause quali sono?
R: Purtroppo le cause specifiche non sono chiaramente delineate. A prescindere dai sintomi e dai segni clinici, anche la diagnosi è lunga e difficile, si manifesta pian piano, si aggiunge qualcosa poco alla volta.
Ovviamente una delle sfide più importanti è quella di accorciare questo tempo, oltre che trattare la malattia, perché non c’é un’unica causa e si dice, come per tutte le malattie autoimmuni, “multifattoriale”.
C’è una predisposizione genetica del soggetto ad avere alterazioni nel sistema autoimmune che normalmente produce anticorpi per difendersi dai batteri, dai germi e dai virus.
Nel caso delle malattie autoimmuni come il lupus, si producono “autoanticorpi” nei confronti dei nostri organi, quindi “del sé”.
- C’è una predisposizione genetica, ma non è ereditaria, quindi non è l’unica causa. Poi si aggiungono fattori ambientali.
- I più noti sono i virus, infatti, molto spesso l’esordio della malattia si ha dopo una infezione virale, fattori che stimolano il sistema immunitario e che fanno sviluppare la malattia.
Altri due fattori ambientali noti sono:
- L’esposizione solare, ed è per questo che raccomandiamo per i pazienti di non esporsi al sole, e
- La terapia con estrogeni, che può scatenarla. E’, infatti, una malattia che colpisce più le donne che gli uomini, in un rapporto 9 a 1. Il fatto che si manifestano nelle giovani donne è legato anche questo.
Il lupus si cura? Si guarisce? Le diverse opzioni di trattamento
D: Come si tratta il lupus, guarire è possibile?
R: Il trattamento dipende dal tipo di coinvolgimento. E’ una malattia cronica, quindi non si guarisce, ma il nostro obiettivo è mandare il lupus in remissione, ovvero arrivare al punto in cui la malattia è dormiente. A seconda del coinvolgimento, se è più blando o più importante, con degli organi implicati, ci sono farmaci più o meno aggressivi o più o meno forti.
La terapia di fondo serve proprio per stabilizzare la malattia, quindi per evitare che abbia delle fluttuazioni.
Per loro natura le malattie autoimmuni, come il lupus, tendono ad essere relapsing and remitting, quindi salgono in termini di attività, poi ritornano indietro, dunque decrescono e vanno in remissione. In poche parole, fluttuano: disegnano una curva che si muove tra l’alto e il basso. Per questo, la terapia di fondo del lupus ha, innanzitutto, lo scopo di stabilizzare la malattia e queste fluttuazioni, quindi evitare le riacutizzazioni.
Poi, ci sono vari immunosoppressori, farmaci che usiamo da tanto tempo. Ovviamente, a seconda del coinvolgimento, se ne sceglie uno piuttosto un altro.
Per esempio, c’è un farmaco biologico che si utilizza nel caso di manifestazioni muscolo-scheletriche o di coinvolgimento renale. È uscito di recente un altro farmaco che si può utilizzare per il trattamento della nefrite lupica, che è uno dei coinvolgimenti. Altri sono in via di sperimentazione.
I miti da sfatare: con il lupus si può avere figli?
D: Quali sono, secondo lei, i principali miti o fraintendimenti diffusi sul lupus che vorrebbe dissipare o sfatare?
R: E’ una domanda difficile, perché purtroppo con l’avvento di Google, che è uno strumento importantissimo per il paziente, che è più informato, si diffondono fonti non sempre attendibili.
Il mito più importante da sfatare è che molto spesso i pazienti arrivano timorosi di non poter avere una gravidanza, quando si ha il lupus. Non è così. Ovviamente, si può avere una gravidanza: a seconda dei farmaci, si deve programmare; se si ha o meno determinati anticorpi, si devono fare dei controlli aggiuntivi. Ma la gravidanza si può avere. Non è vero che una paziente con lupus non può avere figli. Prima, questa era la principale paura della paziente giovane che riceveva la diagnosi.
Il LES si può trasmettere?
Nel corso della discussione, la Dottoressa Celia dissipa anche un’ idea errata che circola sul lupus e riguarda le voci sulla sua trasmissibilità:
“L’altro mito da sfatare è che il lupus non è ereditario. L’altra domanda che fanno sempre è: “è genetico?” No, non si trasmette ai figli.”
D: Quindi c’è differenza tra avere una predisposizione genetica e trasmettere la malattia geneticamente?
R: Sì, una malattia è ereditaria, quando si trasmette, cioè quando c’è proprio una certezza matematica della trasmissione. Invece, la predisposizione indica la percentuale di sviluppo. Quindi, se si ha un parente stretto, un familiare stretto con una malattia autoimmune, qualsiasi malattia autoimmune, si ha una predisposizione a sviluppare una malattia autoimmune di qualsiasi natura, non per forza la stessa, in una percentuale un pochino più alta, rispetto alla popolazione generale.
Dove curare il lupus a Roma? Il lavoro dei medici dell’Umberto I
D: Lei lavora presso la Lupus Clinic: non è conosciuta da molti. Naturalmente, lo è da quanti si rivolgono a voi. Ci piacerebbe ricevere un piccolo insight su quello che fate, su quali sono i progressi recenti nella ricerca del trattamento del lupus, se ci sono stati.
R: Lavoro al policlinico Umberto I, la prima lupus clinic fondata in Italia, ormai tanti anni fa (2008 ndr.). Ci sono tante lupus clinic in Italia: sono dei centri di riferimento per la cura della patologia del lupus eritematoso sistemico-cutaneo (LES e LEC).
Il sospetto dovrebbe essere sempre posto da un altro medico specialista e/o dal medico di base in generale, i quali indirizzano i pazienti alle lupus clinici, che, in genere, sono centri ad alto volume.
Anche se è una malattia non così diffusa, visitiamo tanti pazienti, perché sono concentrati. Nel nostro centro, portiamo avanti, trattandosi anche di un policlinico universitario, tanti progetti di ricerca per tutte le malattie autoimmuni, nello specifico per il lupus, per tanti distretti e coinvolgimenti (articolare, cardiovascolare, etc…).
C’è un team di persone che si occupano del coinvolgimento renale, quindi di portare avanti anche progetti di ricerca sul coinvolgimento renale. Nello specifico io mi occupo dello studio di biomarcatori urinari per la nefrite lupica.
Ad oggi, per fare una diagnosi di nefrite lupica, è necessaria la biopsia renale. È il gold standard. È necessario prendere un pezzettino di rene, per analizzarlo, per vedere quanto è infiammato e come lo è. Molto spesso, i pazienti non rispondono alla terapia, quindi ci sarebbe bisogno di rivedere il rene, ma è una procedura che a volte è rischiosa e in altre occasioni non si può fare per alcuni motivi.
Il nostro obiettivo è cercare di capire se c’è un modo di vedere dalle urine, con un marcatore, l’attività renale, in modo tale che molto più agevolmente il paziente possa raccogliere il campione di urina, grazie al quale possiamo comprendere se c’è l’infiammazione, se c’è la risposta alla terapia, cosa sta succedendo, quando ci troviamo di fronte ai bivi, anziché dover ricorrere alla biopsia. Questo è l’obiettivo.
Così come abbiamo in corso altri studi su altri marcatori sulla biopsia renale, per identificare nuovi meccanismi patogenetici nel coinvolgimento renale da lupus, che potrebbero essere in futuro dei target per nuove terapie.
Con questa malattia si può vivere, scopri la testimonianza di una paziente.