Paola e Silvia Zani e Mirto Milani hanno presentato ricorso in Appello contro la sentenza con cui lo scorso dicembre i giudici di primo grado li hanno condannati all’ergastolo per l’omicidio e l’occultamento del cadavere dell’ex vigilessa Laura Ziliani, consumatosi a Temù, nel Bresciano, l’8 maggio di tre anni fa.

Paola e Silvia Zani e Mirto Milani ricorrono in Appello contro la sentenza con cui sono stati condannati all’ergastolo

La speranza del “trio criminale” è di riuscire ad ottenere uno sconto di pena: attraverso i legali che li difendono, le sorelle Zani e Mirto Milani, presunto ex amante di entrambe, hanno chiesto alla Corte d’Appello di escludere le aggravanti riconosciutegli in primo grado, in particolare quella della premeditazione e dell’uso di sostanze venefiche.

La data del nuovo processo deve ancora essere fissata. Il primo si era concluso, a dicembre, con la condanna all’ergastolo di tutti e tre. Secondo le motivazioni, avrebbero infatti agito “di concerto tra loro, concorrendo a comporre, ciascuno per la propria parte, il mosaico del progetto criminoso”.

“Mirto, che pure si è mostrato, all’interno del gruppo, l’elemento più fragile ed il meno convinto nel portare a termine l’uccisione della Ziliani – scrivevano ancora i giudici – ne è divenuto di fatto l’autore materiale, ponendo per ultimo ‘la mano grande’ sul collo della vittima”. Lo scopo? “Gratificare l’ego del gruppo” e celebrarne, in qualche modo, la coesione.

La ricostruzione dell’omicidio di Laura Ziliani a Temù

Nell’immediatezza dei fatti tutti e tre si erano finti preccupati per le sorti della donna, che improvvisamente, l’8 maggio del 2021, era scomparsa nel nulla dopo averli incontrati a Temù, nel Bresciano, dove a lungo aveva vissuto insieme al marito, scomparso nel 2012 a causa di una valanga.

Agli inquirenti, dopo averne denunciato la sparizione, avevano raccontato che la 55enne si era allontanata per fare una passeggiata in montagna, non facendo più ritorno. La svolta era arrivata tre mesi dopo: l’8 agosto, nel corso di una gita con i genitori, un bambino ne aveva rinvenuto il corpo dietro a dei cespugli, dando l’allarme.

Si era così scoperto che la donna non era sparita, che era morta: era stata uccisa. Le figlie Paola e Silvia e Mirto Milani, il “genero”, si erano professati innocenti, confessando il delitto quando ormai, a loro carico, c’erano diversi indizi di colpevolezza. Stando a quanto ricostruito nel corso delle indagini, avrebbero soffocato la donna con l’aiuto di un cuscino dopo averle somministrato delle benzodiazepine.

È probabile che, uccidendola, volessero entrare in possesso della sua eredità: le figlie, intercettate mentre parlavano della sua morte, fecero intendere di star calcolando quanto avrebbero guadagnato dalla vendita e dall’affitto dei vari appartamenti che possedeva.

Le similitudini con il caso di Bolzano

Il caso di Temù aveva seguito di pochi mesi quello di Peter e Laura Neumair, i due coniugi uccisi a Bolzano dal figlio Benno. I fatti risalgono all’inizio del 2021. Il giovane, che era da poco tornato a stare nell’abitazione di famiglia dopo un Tso in Germania, aveva denunciato alle autorità la scomparsa dei genitori, sostenendo – come Paola e Silvia – che si fossero allontanati per fare una passeggiata in montagna.

In realtà la sera prima li aveva uccisi, strangolandoli con una corda d’arrampicata al culmine di una lite per poi gettarne i corpi nel fiume Adige: sembra che non sopportasse che gli consigliassero di farsi curare per i disturbi che gli erano stati diagnosticati e di costruirsi un nuovo futuro. Secondo la sorella Madè, loro ne avevano paura al punto di chiudersi a chiave in stanza mentre dormivano.