Bancolombia, il più grande istituto bancario della Colombia, ha deciso di lanciare un exchange di criptovalute, Wenia. La nuova piattaforma di scambio si prefigge di interrompere, o almeno scalfire, il dominio esercitato nel Paese latinoamericano da Bitso e Binance.

Alla piattaforma di scambio si andrà poi ad aggiungere una stablecoin ancorata al peso colombiano. Un’eloquente testimonianza dell’interesse sempre più evidente della finanza tradizionale nei confronti di quella decentralizzata.

Bancolombia lancia un exchange e una stablecoin: quali i motivi?

Bancolombia è il maggior istituto bancario della Colombia. La notizia del lancio di un exchange e di una stablecoin è quindi destinata a fare rumore. L’iniziativa, infatti, è da ritenere il segno evidente di un interesse sempre più forte nei riguardi dell’innovazione finanziaria.

La missione che si prefigge Wenia, questo il nome della nuova piattaforma di scambio, è molto ambiziosa: porsi in aperta concorrenza con Binance e Bitso, gli exchange che dominano la scena crypto in Colombia e lungo il continente latinoamericano.

Occorre però sottolineare che per Bancolombia l’interesse verso gli asset digitali non è una novità dell’ultima ora. Anzi, è stato il presidente della banca colombiana ad affermare al proposito che il lancio di Wenia rappresenta il coronamento di dieci anni di sperimentazioni sulla blockchain. Per poi aggiungere: “Con Wenia stiamo rafforzando l’inclusione finanziaria contribuendo allo sviluppo continuo dell’economia digitale del paese.”

L’obiettivo di partenza è raggiungere 60mila utenti nel corso del primo anno. Un obiettivo che tiene in conto anche la popolarità delle criptovalute in Colombia, il Paese terzo in classifica, in America Latina, per adozione di asset digitali.

È stato il CEO di Wenia, Pablo Arboleda, a sottolineare come per facilitare il conseguimento di tale obiettivo la piattaforma sarà strutturata in maniera tale da risultare di facile utilizzo. Tale, quindi, da agevolare gli investimenti anche ai trader alle prime armi.

La stablecoin COPW

Oltre al varo della piattaforma, Wenia ha messo in campo anche il lancio di una stablecoin, COPW. Il token è ancorato al peso colombiano con un rapporto di scambio paritario. Mentre per quanto riguarda i token supportati, la lista comprende al momento Bitcoin, Ethereum, USDC e MATIC.

La decisione di Bancolombia sembra del tutto conseguente alla crescente popolarità delle criptovalute in Colombia. Ovvero uno dei Paesi ove i lavoratori e i pensionati sono già inclini a convertire i propri emolumenti in valuta virtuale, al fine di sfuggire all’iperinflazione.

Se Bitcoin e Altcoin sono volatili, sono comunque reputate meno pericolose del mantenimento della valuta nazionale. Un comportamento che accomuna i colombiani a buona parte del continente, a partire da Venezuela e Argentina.

Tanto che in alcuni rapporti sull’adozione globale delle criptovalute, si formula un pronostico ben preciso sul fatto che sarà proprio l’America Latina, insieme all’Africa, a fare da traino in tal senso.

L’interesse della finanza tradizionale nei confronti delle criptovalute è sempre più evidente

La decisione di Bancolombia è l’ennesima dimostrazione dell’interesse sempre più evidente della finanza tradizionale verso quella decentralizzata. Un interesse che potrebbe essere incentivato da nuove normative, come ad esempio la legge sulle stablecoin di cui si è iniziato a discutere negli Stati Uniti.

Sembrano quindi sempre più lontani i tempi in cui esponenti di spicco del mondo finanziario si scagliavano contro il Bitcoin, indicandolo alla stregua di una semplice lavanderia di soldi sporchi. La liquidità del settore, con tutta evidenza, ha spinto questi settori a prendere in considerazione non la lotta all’innovazione finanziaria, ma una coesistenza la quale potrebbe rivelarsi estremamente fruttuosa.

Basti pensare in tal senso a quanto accaduto all’interno di JP Morgan, ove il CEO Jamie Dimon ha a lungo tuonato contro gli asset virtuali, mentre i trader della banca non disdegnavano di commerciare in Bitcoin e Altcoin. Tanto da spingere più di un osservatore ad accusare lo stesso Dimon per turbativa di mercato.