Il licenziamento per malattia rappresenta un tema delicato nel diritto del lavoro italiano, regolato da normative specifiche che mirano a proteggere i diritti dei lavoratori pur consentendo alle aziende di gestire situazioni di prolungata assenza per malattia. Ecco cosa succede quando il lavoratore si ammala gravemente e come il datore di lavoro deve gestire la situazione: tutte le informazioni utili da sapere.
Licenziamento per malattia: cos’è il periodo di comporto
Il periodo di comporto è definito come il lasso di tempo durante il quale un dipendente malato è protetto dal licenziamento. Tale periodo è stabilito dal contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL) e serve a garantire che il lavoratore possa recuperare e tornare al suo posto di lavoro senza il rischio di essere licenziato.
Durante il comporto, il lavoratore ha diritto a mantenere il suo posto e a ricevere il pagamento dello stipendio, tipicamente gestito dall’INPS in caso di malattia prolungata. Questo periodo di protezione è essenziale per offrire sicurezza ai lavoratori in momenti di vulnerabilità dovuti a condizioni di salute.
Licenziamento per malattia e casi speciali: tutela per malattie gravi
Le malattie gravi, come i tumori, sono trattate con particolare considerazione sotto la legge italiana. Le assenze dovute a trattamenti intensivi, come la chemioterapia o la radioterapia, non sono computate nel periodo di comporto standard, offrendo così una tutela estesa ai lavoratori affetti da queste patologie.
Un caso emblematico è stato trattato dalla Corte di Cassazione, che ha stabilito che le assenze per gravi malattie tumorali non dovrebbero essere incluse nel calcolo del periodo di comporto. Questa decisione è stata presa per evitare discriminazioni indirette nei confronti di lavoratori con patologie particolarmente severe, che richiedono cure salvavita e periodi di recupero più lunghi.
Quando il licenziamento è discriminatorio
Il licenziamento di un lavoratore malato può essere considerato discriminatorio se non giustificato da validi motivi legati alla capacità del lavoratore di svolgere il proprio lavoro. La legge italiana, in linea con le direttive europee, impone ai datori di lavoro l’obbligo di valutare accomodamenti ragionevoli che possano permettere al dipendente di continuare il proprio lavoro o, se ciò non fosse possibile, di proteggerne la posizione fino al possibile rientro.
Diritto alla reintegrazione
Nel caso di licenziamenti giudicati discriminatori, i lavoratori hanno diritto non solo alla reintegrazione nel loro posto di lavoro, ma anche al pagamento degli arretrati e al risarcimento per il periodo di assenza ingiustificata. Questo diritto è stato confermato da numerose sentenze che hanno sottolineato l’importanza di trattare con equità i lavoratori malati, garantendo loro la sicurezza e la stabilità lavorativa.
Conseguenze per i datori di lavoro
In ogni caso, il legislatore italiano, tramite l’articolo 3, comma 3bis del D.Lgs. 216/2003, impone ai datori di lavoro di adottare misure organizzative che possano facilitare la permanenza in lavoro dei dipendenti disabili o con gravi malattie, bilanciando le esigenze di questi ultimi con quelle aziendali.
Questo include la valutazione di adibire il dipendente a mansioni alternative, conosciuto come obbligo di reintegro, e la realizzazione di modifiche temporanee o permanenti al ruolo del lavoratore per accomodare le sue esigenze di salute senza compromettere le operazioni aziendali.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 11731/2024, ha chiarito che il licenziamento di un lavoratore malato grave può essere considerato nullo se basato solo sul superamento del periodo di comporto. In tali circostanze, il datore di lavoro deve dimostrare che ogni assenza è stata adeguatamente valutata rispetto alla gravità della condizione del dipendente e che sono stati fatti tutti gli “accomodamenti ragionevoli” per mantenere il lavoratore in impiego, senza imporre oneri finanziari sproporzionati all’azienda.
Se un lavoratore viene licenziato, ha il diritto di contestare la decisione attraverso meccanismi legali stabiliti, inclusa la possibilità di ricorrere in giudizio per dimostrare la discriminazione e richiedere la reintegrazione nel posto di lavoro.
Quando il licenziamento per malattia è legittimo
Nonostante le protezioni, esistono situazioni in cui un datore di lavoro può legittimamente procedere con il licenziamento durante il periodo di malattia, come nel caso di comportamenti gravemente scorretti da parte del dipendente o quando, nonostante gli sforzi di repêchage, il dipendente non sia più in grado di svolgere nessuna funzione aziendale.