Quello dell’ex ministro, segretario dei Ds nonché sindaco di Torino Piero Fassino delle scorse settimane è stato un caso che ha fatto molto discutere. Lui, 74 anni, uno dei dirigenti più importanti della sinistra italiana degli ultimi decenni, il 15 aprile è stato accusato di aver rubato una confezione di profumo presso il Duty Free 25 dell’aeroporto di Fiumicino del valore di circa 130 euro. Secondo la testimonianza di una commessa, non sarebbe la prima volta che Fassino cade in questa tentazione. In più, un video smentirebbe la sua versione del profumo messo in tasca per avere le mani libere. Ma tant’è: ora, il politico risulta formalmente indagato, anche se la Procura potrebbe chiedere al Gip l’immediata archiviazione per “particolare tenuità del fatto”, una formula inserita nel Codice penale nel 2015 in seguito alla riforma Cartabia e che prevede la depenalizzazione di un’offesa di particolare tenuità conseguente a un comportamento non abituale.

E se il caso-Fassino fosse un caso di cleptomania per cui l’appartenenza alla ‘casta’ non c’entra nulla? Parla la psicologa Alexia Di Filippo

Sta di fatto che il caso Fassino ha scatenato le reazioni più disparate. C’è chi ha colto l’occasione al volo per sparare a zero contro la ‘casta’ dei politici che si sentono intoccabili. Chi si è interrogato sulla veridicità dei fatti raccontati dai media prima di esprimere un giudizio. E chi, invece, si è fatto alcune domande sulla cleptomania, al di là dello stesso caso Fassino. Tag24, a tal proposito, ha rivolto sette domande alla psicoterapeuta Alexia Di Filippo.

Quello di Fassino può essere considerato un caso di cleptomania?

“Direi di sì, specie se rispondessero al vero le dichiarazioni delle commesse del negozio dove è avvenuto il fatto per cui si sarebbero verificati almeno altri due tentativi di sottrazione della merce conclusi col pagamento da parte dell’onorevole Fassino di quanto dovuto. In questo caso, si ravviserebbe quella compulsione ad appropriarsi di oggetti indipendentemente dal loro valore e di cui la persona non ha bisogno che è alla base della cleptomania, un disturbo psicologico inserito tra quelli del comportamento dirompente, del controllo degli impulsi e della condotta nel Manuale Diagnostico e Statistico dei disturbi mentali. In ogni caso, questa ipotesi diagnostica, naturalmente, deve essere verificata da uno specialista della salute mentale nelle sedi e con gli strumenti opportuni. Ma, in generale, al di là del caso Fassino, anche se la cleptomania insorge tipicamente durante l’adolescenza, non sono infrequenti i casi in cui si manifesta in età adulta”.

È una problematica molto diffusa?

“Proprio per la natura del problema è stata indicata una incidenza approssimativa di 6 persone su mille”.

Ma come si manifesta la cleptomania?

“La persona affetta da cleptomania è incapace di resistere all’impulso di rubare: prima di appropriarsi dell’oggetto, sperimenta un crescendo di tensione interna che trasmuta in piacere, gratificazione o sollievo mentre viene commesso il fatto. Occorre precisare che il furto non è ispirato da dinamiche rabbiose o rivendicative, né conseguente a delirio o allucinazione. E non è spiegato in termini del disturbo della condotta, da un episodio maniacale o dal disturbo antisociale di personalità”.

I cleptomani sono portati a negare l’evidenza?

“Generalmente sì perché il furto, oltre ad essere considerato una condotta socialmente riprovevole, configura un reato che può avere severe conseguenze sul piano giudiziario. Del resto, loro stessi stigmatizzano il fatto commesso seguendo un impulso irresistibile, descrivendolo come dissonante col proprio carattere, irrefrenabile ed eticamente condannabile”.

C’è un tipo di persona che ne può essere maggiormente colpito?

“Gli studi indicano che a soffrire di cleptomania sono soprattutto le donne in una proporzione di due terzi dei soggetti considerati. Una ricerca, poi, ha rilevato che, in pazienti ricoverati per disturbi psichiatrici, quasi l’otto per cento soddisfaceva i criteri per porre diagnosi di cleptomania ed oltre il nove per cento aveva ricevuto tale diagnosi nel corso della vita. Sovente, la persona affetta da cleptomania soffre anche di altri disturbi mentali come quello ossessivo compulsivo, bipolare, d’ansia, depressivi, da uso di alcol e di sostanze stupefacenti, della nutrizione e dell’alimentazione. E sarebbe maggiormente a rischio di sviluppare la cleptomania chi ha una storia familiare di disturbi come quelli citati, e\o costellata da eventi traumatici, e\o caratterizzata da episodi di abuso. Nonché le persone che hanno subìto un trauma cranico e coloro che presentano bassi livelli di serotonina nel cervello. Dal punto di vista psicanalitico, infine, il disturbo si manifesterebbe in persone che percepiscono la propria vita estremamente stressante e costrittiva come tentativo di gratificare i propri bisogni insoddisfatti. O in chi ha un senso di colpa inconscio che, attraverso il furto e la conseguente punizione ed umiliazione, raggiungerebbe la compensazione”.

Come se ne esce?

“E’ indispensabile che chi è affetto da cleptomania ricorra alla psicoterapia al fine di imparare a rispondere adeguatamente all’impulso di rubare, riconoscendo e gestendo lo stress e i pensieri negativi che possono innescare il climax che conduce al comportamento illecito al fine di prevenirlo. Inoltre, spesso, sono necessari dei farmaci prescritti dallo psichiatra al fine di stabilizzare l’umore e/o altri che interferiscono con la ricaptazione della serotonina contribuendo efficacemente ad arginare la componente impulsiva alla base della cleptomania”.

Chi e come può aiutare le persone affette da questo disturbo?

“I familiari spesso sono i primi ad accorgersi che il congiunto intasca degli oggetti nei negozi invocando poi, se scoperto, la distrazione. I parenti hanno, dunque, un ruolo chiave perché, se evitano di colpevolizzare la persona cara cercando di empatizzare con il disagio che soggiace al suo comportamento, possono più facilmente convincerla a ricorrere all’aiuto specialistico lavorando in termini di consapevolezza del problema che sta manifestando. Non solo: una volta in cura, può essere utile coinvolgere altre persone appartenenti al nucleo familiare del paziente in modo che possano sostenerlo ed affiancarlo nel modo corretto. Ad esempio, evitando situazioni che possano costituire una tentazione e facendo attenzione, in occasioni sensibili, a monitorarne il comportamento”.