Carriere separate per i magistrati, due Csm (uno per i giudici, l’altro per i pm), ma anche un’Alta Corte che valuti l’operato delle toghe. È questo il succo della riforma costituzionale sul tema giustizia a cui la premier Giorgia Meloni ha dato il suo ok politico a conclusione di un vertice a Palazzo Chigi che ha visto impegnati, tra gli altri, il ministro Carlo Nordio, i sottosegretari Andrea Delmastro e Andrea Ostellari, la presidente della commissione giustizia al Senato Giulia Bongiorno e l’omologo alla Camera Ciro Maschio. L’obiettivo del Governo di centrodestra è quello di arrivare al ddl prima del voto per le Europee dell’8 e 9 giugno. L’occasione, del resto, viene giudicata troppo ghiotta per non sventolare un altro vessillo storico del centrodestra prima di passare all’incasso delle urne.

Riforma della Giustizia, ok della Meloni. Ma l’Anm è già sul piede di guerra e l’opposizione è divisa

Sta di fatto che, come al solito, la riforma della Giustizia estremizza lo scontro politico. Tanto più che Giuseppe Santalucia, il presidente dell’Associazione Nazionale magistrati, il sindacato delle toghe, subito si è schierato contro:

“Inevitabilmente, con questa riforma, i magistrati saranno attratti nella sfera d’influenza del potere esecutivo. Si rischia di affondare un sistema che ha permesso di combattere fenomeni come la mafia e di debellarne altri come il terrorismo. O abbiamo dimenticato il sacrificio di molti magistrati?”


Per il sindacalista delle toghe di sta profilando una riforma sbagliata, quindi:


E’ una riforma in contrasto con l’architettura costituzionale che fin qui ha offerto garanzie fondamentali ai cittadini. La riforma della separazione delle carriere è la riforma di chi ha in antipatia un singolo pm, un’inchiesta specifica, un provvedimento particolare”

Alle parole di Santalucia, ha replicato il capogruppo di Forza Italia al Senato Maurizio Gasparri:

“Con le parole del presidente dell’Anm, abbiamo la conferma della validità della riforma della giustizia che propone il governo di centrodestra. Se la riforma non piace a uno come Santalucia, vuol dire che è una buona riforma. Santalucia e molti suoi colleghi sono l’espressione dell’errore fatto persona. Difendono l’indifendibile. Difendono l’uso politico della giustizia. Difendono chi attribuisce le stragi a persone che hanno fatto solo del bene e hanno combattuto contro la mafia. Difendono persone che, sconfitte nelle aule giudiziarie, fanno libri per contestare le sentenze che li sconfessano dopo che hanno per anni penalizzato esponenti dello Stato in realtà nemici della mafia”.

Gasparri, quindi, ricordando anche le vicende che hanno avuto protagonista Silvio Berlusconi, ha colto l’occasione per togliersi altri sassolini dalle scarpe:

“I Santalucia, i Di Matteo e gli altri loro amici sono un’espressione negativa dell’Italia contemporanea. Facciamo la riforma della giustizia per affermare il suo vero valore, per garantire la sua trasparenza e la certezza della pena. Noi combattiamo il crimine. Loro vogliono difendere una casta privilegiata che ha fatto più cose negative che positive trincerandosi dietro gli eroi veri della lotta alla mafia. Ma è una cosa che non si possono permettere personaggi così. Gente come Falcone, a uno come Santalucia, non avrebbe nemmeno rivolto la parola”.

Opposizioni spaccate

Sta di fatto che la riforma della giustizia promette scintille politiche anche perché il fronte delle opposizioni è già spaccato. Se il Movimento 5 Stelle è contro senza se e senza ma (Giuseppe Antoci, capolista per le Isole alle Europee: “E’ una riforma che garantisce l’impunità dei politici”), il Pd, con Anna Rossomando, apre sull’Alta Corte. E Azione di Calenda, con il deputato Andrea Costa, si schiera ancor più a favore:


“Nel merito, penso sia da valutare positivamente perché una giustizia domestica dei magistrati non è più credibile. La responsabilità disciplinare dei magistrati c’è già? Ma è pari quasi a zero. È una sorta di meccanismo che cancella la responsabilizzazione. In molte situazioni prevalgono le tutele correntizie rispetto al merito delle questioni. L’Alta Corte, invece, dovrebbe lavorare con professionalità di assoluta imparzialità. Certamente non con magistrati che poi ritornano in servizio”.