Ci sono casi di cronaca che più di altri catalizzano l’attenzione dell’opinione pubblica, imprimendosi nell’immaginario collettivo del luogo a cui si legano per i motivi più disparati. In Francia è successo con i quattro omicidi e i sei stupri attribuiti al serial killer “butterato”, la cui vera identità è stata scoperta solo 35 anni dopo i fatti, nel 2021.

La storia del serial killer “butterato”

Chi era François Verove

Il 24 settembre del 2021 un ex poliziotto di Montpellier sparisce, improvvisamente, nel nulla. Tre giorni più tardi, la moglie, preoccupata di non vederlo rincasare, ne denuncia la scomparsa alle autorità, che si mettono immediatamente sulle sue tracce. Il 28 settembre lo trovano senza vita in un motel.

In quei giorni l’uomo, di nome François Verove, avrebbe dovuto presentarsi in commissariato per sottoporsi a un test del Dna: a chiederglielo era stato il pm che da poco aveva riaperto le indagini su quattro casi di omicidi e sei stupri consumatisi nell’area di Parigi tra il 1986 e il 1994 e attribuiti ad un unico uomo, con molta probabilità un gendarme.

Il magistrato era partito da lontano, risalendo all’identità di tutti coloro che lavoravano nell’area interessata dai delitti e ne aveva convocati 750 per degli accertamenti, sospettando che tra loro si nascondesse il serial killer che per anni aveva seminato il panico.

Quando gli inquirenti scoprono il corpo di Verove, accanto notano che c’è una lettera: è un testo in cui l’uomo ammette di aver ucciso e stuprato le vittime, di cui però non fa i nomi. Scrive di aver agito in preda a delle “pulsioni” fino al 1997 e di essere poi riuscito a controllarsi. Il Dna conferma che è lui il killer che per 35 anni era stato cercato, apparso addirittura in tv in un quiz a premi due anni prima.

Gli omicidi e gli stupri

L’inizio della sua carriera criminale risale al 1986: aveva poco più di vent’anni quando, il 5 maggio di quell’anno, si macchiò del terribile omicidio dell’11enne Cecile Bloch, trovata morta nella cantina del palazzo in cui viveva insieme alla sua famiglia a Parigi.

Fu il fratellastro, Luc Richard, a raccontare agli inquirenti di aver incontrato in ascensore un uomo con il volto mangiato dall’acne dall’aria sospettosa, ipotizzando che potesse trattarsi del killer, da allora soprannominato “Le Grêlé”, “Il Butterato”.

Stando a quanto ricostruito nel corso delle indagini, incontrò la sua prima vittima mentre stava andando a scuola, la trascinò con la forza nel seminterrato dell’edificio, la violentò e la strangolò. Nel 1987 uccise il 32enne Gilles Politi e la ragazza alla pari di origine tedesca che lavorava per lui (e che forse frequentava), Irmgard Müller, di 20 anni, dopo averli sottoposti ad una serie di torture fisiche.

Qualche anno dopo, nel 1994, uccise la 19enne Karine Leroy. Nel frattempo aveva violentato almeno altre sei persone, evitando di ucciderle. Le loro testimonianze permisero di capire che l’uomo, con tutta probabilità, frequentava gli ambienti polizieschi della zona. Un dettaglio che a distanza di tanti anni si sarebbe rivelato essere di fondamentale importanza.

Stando al criminologo Marino D’Amore, docente di sociologia della comunicazione dell’Unicusano, che ne ha parlato nel corso di una puntata di “Crimini e criminologia” su Cusano Italia Tv insieme a Fabio Camillacci e Gabriele Raho, Verove potrebbe anche aver mietuto altre vittime: è strano, infatti, che nella lettera lasciata ai posteri abbia affermato di essersi “fermato” tre anni dopo rispetto alla data in cui, secondo gli inquirenti, avrebbe ucciso l’ultima persona. Ed è strano, se non impossibile, che – anche alla luce del modus operandi delle sue uccisioni, molto efferate – sia riuscito tutto ad un tratto a controllarsi.