In pensione con meno di 600 euro al mese: assegni a rischio per i “contributivi puri”. Coloro che hanno iniziato ad accumulare contributi previdenziali dal 1996 in poi, rischiano di andare in pensione con un assegno mensile inferiore ai 600 euro. Questo perché il sistema pensionistico italiano si basa sul calcolo contributivo, che tiene conto solo dei contributi versati durante l’intera carriera lavorativa.

Il problema principale è che molti lavoratori hanno avuto carriere discontinue, con periodi di lavoro alternati a periodi di disoccupazione o lavoro precario. Questo comporta un minor numero di contributi versati e, di conseguenza, un assegno pensionistico più basso.

Inoltre, il sistema contributivo integrale viene applicato anche a chi sceglie di pensionarsi con Quota 103, indipendentemente dall’anno di inizio del lavoro con una perdita stimata in media del 15% del valore mensile dell’assegno. Vediamo insieme chi avrà meno id 600 euro di pensione.

In pensione con meno di 600 euro al mese

Il sistema contributivo italiano, introdotto con la Legge 8 agosto 1995, n. 335 di “riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare” (c.d. riforma Dini), determina l’ammontare della pensione in base ai contributi versati nel corso della vita lavorativa. Questo significa che chi ha iniziato a lavorare a partire dal 1° gennaio 1996 rischia di ricevere una pensione più bassa rispetto a chi ha lavorato in precedenza.

Nel suo discorso di insediamento, la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni aveva promesso un miglioramento del sistema pensionistico per i giovani e per coloro che hanno contribuito integralmente nel sistema contributivo. Tuttavia, al di là delle buone intenzioni, finora non sono stati fatti passi concreti in questa direzione. La questione previdenziale rimane un tema delicato e complesso, ancorato a un regime che non permette di aumentare le pensioni fino a 1.000 euro, come invece proposto da Silvio Berlusconi.

Poche speranze per le nuove generazioni

Per i lavoratori che hanno iniziato a lavorare dal 1996 in poi, le speranze di ottenere un assegno previdenziale superiore alla pensione minima di 598,61 euro sono purtroppo poche.

Il sistema contributivo, infatti, penalizza chi ha avuto carriere discontinue o con periodi di lavoro precario, comportando un minor numero di contributi versati e, di conseguenza, un assegno pensionistico più basso.

Pensione di vecchiaia: requisiti e calcolo per chi ha iniziato a lavorare dal 1996

I lavoratori che hanno iniziato ad accumulare un montante contributivo dal 1° gennaio 1996 ottengono la pensione di vecchiaia interamente calcolata con il sistema contributivo.

L’INPS procede al calcolo del trattamento pensionistico prendendo in considerazione il montante contributivo accumulato dal lavoratore e applicando un coefficiente di trasformazione, espresso in percentuale e variabile in base all’età anagrafica del pensionando.

  • Ad esempio: per i lavoratori che compiono 64 anni il coefficiente corrisponde al 5,184%, mentre per coloro che superano i 67 anni di età il coefficiente è pari al 5,723%.

Quali sono i requisiti per la pensione di vecchiaia?

Oltre al requisito contributivo minimo (20 anni di contributi), per accedere alla pensione di vecchiaia è necessario raggiungere un’età anagrafica specifica:

  • 67 anni per gli uomini.

Cosa succede se non si maturano i requisiti minimi?

Se il lavoratore non ha maturato una carriera lavorativa continua o non supera 20 anni di contributi, rischia di ricevere una pensione molto bassa.

  • La legge prevede la possibilità di pensionamento con soli 5 anni di contributi al raggiungimento dei 71 anni di età, ma in questo caso l’assegno pensionistico non supera i 600 euro al mese.

Integrazione al trattamento minimo

In presenza di contributi versati prima del 31 dicembre 1995, il lavoratore ha diritto all’integrazione al trattamento minimo, che porta la pensione all’importo minimo previsto dalla legge.

Tale integrazione non è prevista per i “contributivi puri”, ovvero coloro che hanno versato contributi solo a partire dal 1996. Come specificato da money.it, chi percepisce, ad esempio, una pensione di 400 euro non avrà diritto ad alcun aumento con l’integrazione al minimo.

Quando prende di pensione chi ha iniziato a lavorare dal 1996?

Esempi di importi pensionistici per i “contributivi puri”

Per fornire una visione chiara degli importi pensionistici liquidati ai “contributivi puri”, ovvero coloro che hanno versato contributi previdenziali solo a partire dal 1996, proponiamo alcuni esempi:

1. Lavoratore con stipendio basso e pochi anni di contributi

Un lavoratore che percepisce uno stipendio lordo mensile fino a 1.000 euro e che al compimento dei 67 anni ha maturato 20 anni di contributi otterrà un assegno pensionistico pari a circa 400 euro al mese.

2. Lavoratore invalido con pochi anni di contributi

Un lavoratore a cui viene riconosciuta una patologia invalidante a 40 anni di età con una ridotta capacità lavorativa, a cui spetterebbe l’assegno ordinario di invalidità, con uno stipendio medio di circa 1.500 euro lordi e 10 anni di accrediti contributivi, otterrà un trattamento calcolato con un coefficiente di trasformazione pari al 4,270% e una rendita mensile di circa 320 euro al mese.

Un importo ancor più ridotto dell’Assegno sociale, che permette di ricevere circa 534,41 euro al mese. Oltretutto, quest’ultimo trattamento al compimento dei 67 anni di età viene riconosciuto anche a chi è privo di contribuzione.

3. Pensione di reversibilità per coniuge superstite

La situazione non migliora in presenza di una pensione di reversibilità. Se, ad esempio, il lavoratore muore a 35 anni di età con 10 anni di contributi e uno stipendio medio annuo pari a circa 1.700 euro, il trattamento economico viene calcolato sulla quota riconosciuta ai superstiti, ovvero circa 3.110 euro all’anno.

Di questo importo, il 60% spetta alla coniuge superstite. Pertanto, la pensione diretta non supera i 143 euro.