Un caso sottoposto qualche tempo fa ai chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate riguarda la corretta gestione fiscale dei compensi di amministratori all’interno di un gruppo aziendale multinazionale, evidenziando la complessità delle norme fiscali che regolano i trasferimenti di compensi all’interno di entità consociate in differenti stati membri dell’UE. La società italiana, parte di un gruppo che include la consociata UE, deve determinare il trattamento fiscale appropriato per il compenso di un amministratore che è anche dipendente della consociata UE.
Compenso amministratori in contesti multinazionali: cosa sono i compensi reversibili
Il compenso in questione è classificato come “reversibile” dato che viene trasferito a una società consociata, nonostante sia originariamente destinato a un individuo in qualità di amministratore. Tale pratica è legale e conforme alle clausole contrattuali stabilite tra il dipendente e la società consociata UE, che richiede il trasferimento dei compensi direttamente a essa.
Deducibilità dei costi e trattamento delle ritenute
Dal punto di vista fiscale, il compenso reversibile non viene trattato come un normale reddito di lavoro dipendente, ma piuttosto come una prestazione di servizi. Questo implica che il costo relativo a tale compenso è deducibile per la società italiana nel periodo d’imposta in cui l’assemblea dei soci approva il pagamento, secondo il principio di competenza. Questo approccio è in linea con l’articolo 109 del TUIR e si discosta dall’articolo 95, comma 5, del TUIR che generalmente disciplina i compensi degli amministratori.
Esclusione della ritenuta d’acconto
In base alle normative vigenti e alle interpretazioni di recenti sentenze della Corte di Cassazione, si evince che il compenso reversibile non rientra nei redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente e, quindi, non è soggetto alla ritenuta d’acconto prevista per tali redditi. Questa esclusione è rilevante affinché si eviti la doppia imposizione e si garantisca che la tassazione avvenga solo nel paese di residenza della società consociata UE.
Compenso amministratori in contesti multinazionali: la questione della doppia imposizione
La questione della doppia imposizione è ulteriormente complicata dalla presenza di una convenzione bilaterale tra l’Italia e il paese UE della consociata. La convenzione stabilisce chi ha il diritto di tassare il reddito, attribuendo la potestà impositiva allo stato di residenza del percettore del reddito. Tuttavia, nel caso specifico, il compenso non è percepito direttamente dall’individuo ma dalla società consociata UE, rendendo applicabile l’articolo 7 della Convenzione, che limita la tassazione degli utili aziendali solo allo stato di residenza della società, a meno che non operi tramite una stabile organizzazione nello stato sorgente.
Cosa dice la normativa fiscale italiana sui compensi reversibili
Riepilogando il contesto,una società italiana si trova a dover determinare il corretto trattamento fiscale per un compenso versato a un amministratore che è impiegato presso una consociata straniera, dove il compenso è soggetto a un obbligo contrattuale di riversamento. Questo scenario, come abbiamo visto, presenta complesse implicazioni fiscali che coinvolgono le normative sia nazionali che internazionali.
Secondo l’articolo 51, comma 2, lettera e) del TUIR, i compensi reversibili non sono considerati parte del reddito di lavoro dipendente quando sono soggetti a clausole contrattuali di riversamento. Tali compensi non sono assimilati a redditi di lavoro dipendente, come specificato nell’articolo 50 del TUIR, e pertanto non devono essere assoggettati a tassazione come tali.
I chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate
La somma versata all’amministratore, destinata alla consociata estera, è deducibile per la società italiana in base al principio di competenza, come definito dall’articolo 109 del TUIR. Questo si allinea alla circolare del Ministero delle Finanze n. 326/1997, che chiarisce come i compensi reversibili, pur essendo pagati per servizi di amministrazione, non configurano reddito imponibile per il beneficiario diretto quando non vi è disponibilità materiale del compenso.
La trattazione fiscale di tali compensi è ulteriormente complicata dalla necessità di considerare le convenzioni contro le doppie imposizioni. Nel caso specifico, il compenso non è soggetto alla potestà impositiva italiana, in quanto il trattamento del reddito e dei compensi è regolato dall’articolo 7 della Convenzione contro le doppie imposizioni, che prevede la tassazione degli utili aziendali esclusivamente nello stato di residenza della consociata.
Alla luce delle disposizioni convenzionali e della normativa fiscale interna, i compensi versati non sono imponibili in Italia e sono completamente deducibili per la società italiana. Inoltre, non vi è obbligo di effettuare ritenute alla fonte sul pagamento di tali compensi.