Il 22 giugno del 1983 Emanuela Orlandi uscì di casa e sparì nel nulla. Da poco, sul caso della sua scomparsa, si è tornati ad indagare: lo stanno facendo, contemporaneamente, la Procura di Roma, quella Vaticana e il Parlamento, che ha istituito un’apposita Commissione d’inchiesta. La speranza dei familiari, che hanno sempre lottato per la verità e per la giustizia, è che ci sia finalmente la “volontà” di fare chiarezza sulla vicenda.
Pietro Orlandi sulle inchieste aperte sulla scomparsa della sorella Emanuela
“Molte delle persone con le quali ho parlato hanno seguito la storia, quindi ne conoscono i tanti particolari. Penso che, se ne avranno la possibilità e i tempi – perché i tempi sono sempre molto lenti, potrebbero permetterci di fare un passo in avanti verso la verità”, ha dichiarato ai microfoni della trasmissione “Crimini e criminologia”, andata in onda domenica 28 aprile su Cusano Italia Tv, Pietro Orlandi.
Il riferimento è ai parlamentari chiamati a lavorare sul caso della sorella Emanuela, scomparsa a Roma il 22 giugno del 1983 all’età di 15 anni e mai ritrovata. “Mi auguro che (le indagini, ndr) non partano dall’anno zero, altrimenti diventa una cosa impossibile. Bisogna partire dagli ultimi sviluppi”, ha aggiunto, citando, ad esempio, il “famoso incontro che Giancarlo Capaldo, procuratore aggiunto all’epoca dell’ultima inchiesta della Procura di Roma sulla scomparsa di Emanuela, ebbe con due emissari del Vaticano che fecero capire di essere a conoscenza dei fatti”, alludendo alla possibilità che la ragazza fosse morta.
“Poi c’è la questione dei messaggi Whatsapp tra due persone vicine a Papa Francesco (in cui si parlerebbe di dettagli relativi alla scomparsa, ndr), ma anche la questione di Londra, la più attuale”: quella secondo la quale la ragazza potrebbe aver trascorso almeno un periodo di tempo in un appartamento londinese gestito dai Padri Scalabriniani. Tracce di un suo eventuale soggiorno all’estero sarebbero emerse anche dalle confidenze rese a Pietro Orlandi da un ex membro dei Nar che avrebbe incontrato Emanuela proprio in quel periodo, come testimonierebbe la foto di una collanina che era solita indossare fatta avere ai familiari.
Aspettative contro realtà: cosa si sta facendo (e non) sul caso
Incalzato dai giornalisti Fabio Camillacci e Gabriele Raho, Orlandi ha spiegato che, dopo aver reso noti i contatti con questa persona (che a un certo punto sarebbe sparita nel nulla), si aspettava che la Procura di Roma lo convocasse per approfondire la questione. Non è successo.
I magistrati si starebbero concentrando, piuttosto, sulla “pista parentale”, già vagliata nell’immediatezza dei fatti e ritirata fuori, di recente, dal Vaticano, per scoraggiare, secondo Orlandi, l’approvazione dell’istituzione della Commissione d’inchiesta al Senato dopo l’ok della Camera. “Mi sembra che la volontà sia quella di cercare a tutti i costi una verità di comodo”, ha spiegato Orlandi.
“L’inchiesta vaticana è stata un atto dovuto: stava per partire la Commissione, la serie tv Netflix su Emanuela aveva riacceso i riflettori sul caso, il Vaticano doveva fare qualcosa. Voglio far sapere a Papa Francesco, che non riesco ad incontrare in nessun modo, che la persona che ha incaricato di seguire l’inchiesta, il promotore di giustizia Alessandro Diddi, sta facendo esattamente il contrario di quello che aveva chiesto espressamente il Pontefice, ossia indagare a 360 gradi”, ha aggiunto.
Da quasi 41 anni, insieme al resto dei familiari di Emanuela, l’uomo lotta per riportarla a casa. “Finché non trovo i resti per me è un dovere cercarla viva – ha concluso –, penso che alla base della sua scomparsa ci siano un ricattato e un ricattatore”. “Sicuramente c’è ancora qualcuno che ha in mano le prove di quello che è successo e queste prove evidentemente coinvolgono persone di un certo livello sia dentro al Vaticano che fuori”. Persone che si starebbe cercando, in tutti i modi, di proteggere.