Il divario di genere è uno dei punti critici nel mondo del lavoro in Italia. Secondo i dati elaborati da Openpolis a livello europeo, l’Italia è il secondo paese, dopo la Grecia, per la differenza di genere rispetto al tasso di occupazione. Il dato evidenzia una discrepanza di 19,7 punti percentuali tra uomini e donne impiegati. Questi dati diventano ancora più preoccupanti quando si parla di stranieri uomini e donne. Le donne straniere sono la categoria più svantaggiata di tutte in quanto devono affrontare la disparità di genere e quella della nazionalità.
In occasione del 1 maggio, Tag24 ha intervistato Luca Di Sciullo, presidente del Centro Studi e Ricerche IDOS, per parlare dello spazio delle donne straniere nel mondo del lavoro.
Intervista a Luca Di Sciullo sulle donne straniere nel mondo del lavoro
Nel 2024, l’8,9% della popolazione è composta da stranieri di cui più della metà sono donne. Queste subiscono maggiori penalizzazioni nel mondo del lavoro.
D: Ci sono dei grandi squilibri nel mondo del lavoro fra uomini e donne. Ma cosa succede se si allarga il cerchio e si prendono in considerazione anche gli stranieri residenti in Italia? Che situazione lavorativa trovano le donne straniere?
R: Subiscono una doppia penalizzazione una per il fatto di essere donne, questo le accomuna anche a quelle italiane, e la seconda per il fatto di essere straniere. Questo noi lo vediamo nei dati che riguardano il loro inserimento occupazionale.
Gli stranieri in generale seguono un modello di segregazione occupazionale. Vengono convogliati in massa ai gradini più bassi delle scala delle professioni, in quelle meno pagate, più diconosciute e a livello sociale più precarie, più pesanti e anche più pericolose. Continuano a svolgere quei lavori anche dopo tanti anni, quindi la mobilità occupazionale e sociale in generale della popolazione straniera è di fatto bloccata. Per le donne, in particolare, questa situazione è ancora più evidente.
Se diamo uno sguardo ai classici indicatori di inserimento occupazionale ci accorgiamo, per esempio che mentre italiani e stranieri hanno un tasso di occupazione più o meno simile, intorno al 58%, le donne straniere ne hanno uno del 45%. Quindi 13 punti più basso.
Il tasso di disoccupazione è del 9% tra gli italiani, sale a oltre il 14% tra gli stranieri mentre tra le sole donne straniere tocca il 17%.
I sovraistruiti, cioè i lavoratori che fanno mansioni e lavori più “bassi” rispetto alle qualifiche e ai titoli di studio che hanno maturato sono il 25% degli italiani. Questa percentuale cresce per gli stranieri a quasi un terzo, ovvero al 33%. Tra le sole donne straniere si arriva al 42%.
Le donne straniere in Italia sono poco più della metà di tutti i residenti non italiani, quindi rappresentano la porzione maggioritaria. Eppure tra i lavoratori sono appena il 42% quindi diciamo quasi 10 punti meno della loro incidenza tra la popolazione straniera. Sono molto sottorappresentate nella categoria dei lavoratori.
D: Come mai questo avviene?
R: Per due motivi: uno perché a volte non vanno a lavorare o non vengono mandate a lavorare in quanto per alcuni modelli sociali vengono relegate in casa per le faccende domestiche e per quelle attività cosiddette riproduttive di cura della casa e dei figli ecc.
A volte, pur andando a lavorare, molto più spesso degli uomini vengono impiegate in nero e quindi sfruttate nel lavoro, vengono meno pagate e spesso subiscono abusi o ricatti di tipo sessuale.
Principali settori lavorativi per le donne straniere
D: In quali settori si concentrano le lavoratrici straniere?
R: Le donne straniere si concentrano per la grande parte in pochi comparti e in poche attività lavorative, sia rispetto agli uomini ma anche rispetto alla totalità dei lavoratori. Metà delle lavoratrici straniere sono concentrate solo in tre professioni: colf, badanti e addette alle pulizie. C’è quindi una concentrazione molto forte in pochissimi impieghi peraltro di fatica e spesso sottopagati dove c’è molto impiego in nero.
Un altro settore in cui lavorano è l’agricoltura, che è un lavoro molto pesante. Molte lavorano nelle serre dove si raggiungono anche i 50 gradi durante l’estate e si verificano anche svenimenti. Insomma, sono sottoposte a un regime lavorativo di grave sfruttamento o anche di grave rischio per la salute e le cose spesso vanno di pari passo.
Il fenomeno della sovraistruzione
D: Parlando di sovraistruzione, nelle categorie di cui ha parlato quanto è presente questo fenomeno?
R: Il lavoro domestico impiega per il 70% lavoratori stranieri di cui il 90% è rappresentato dalle straniere. Per lo più sono donne di mezza età, quindi che vanno dai 35 ai 55 anni. Pensiamo a quelle che arrivano dai paesi dell’Est che a volte sono addirittura laureate ma non possono spendere i titoli di studio e i titoli di formazione che hanno conseguito nei loro paesi.
Purtroppo in Italia c’è un sistema di mancato riconoscimento dei titoli, per cui la loro laurea non equivale a quelle che rilascia il nostro paese, se non facendo esami supplementari peraltro in italiano. A volte non conoscono molto bene neanche la lingua. Per questo motivo, e un po’ perché proprio il mercato del lavoro riserva agli stranieri e alle straniere solo alcune nicchie di lavori meno qualificati, tante, pur avendo studiato ed avendo titoli di studio, devono accontentarsi, anche per 12-15 anni, di fare sempre questo tipo di lavoro.
La difficoltà di ottenere regolare documentazione
D: Che peso ha l’accesso ai documenti come il permesso di soggiorno?
R: Il tema della documentazione in Italia è molto problematico. Ci sono dei meccanismi di rilascio e di rinnovo dei permessi di soggiorno, soprattutto per lavoro, molto complicati che a volte rischiano di far cadere l’immigrato, e anche la donna straniera, in uno stato di irregolarità nel momento della domanda di rinnovo. Intanto il meccanismo della chiamata nominativa dall’estero, cioè quando il datore di lavoro deve chiamare per nome e cognome il lavoratore straniero, che si presume stare ancora all’estero, per consentirgli di ottenere il visto e di entrare in Italia.
Sappiamo che la maggior parte dei lavoratori e delle lavoratrici straniere lavorano nelle famiglie oppure possono lavorare in piccoli negozi a conduzione familiare. È molto difficile che una famiglia o una piccola attività anche imprenditoriale, voglia mettere sotto contratto una persona che non ha mai visto e che deve essere chiamata dall’estero senza averla mai incontrata. Succede quindi che spesso queste donne vengono impiegate, soprattutto nel lavoro domestico in nero, in maniera irregolare, e poi si utilizzino le quote dei decreti flussi o le regolarizzazioni vere e proprie per fare emergere la loro posizione.
Purtroppo sappiamo di datori di lavoro, spesso anche famiglie, che per presentare la domanda di regolarizzazione pretendono che le lavoratrici paghino loro una quota. Ovviamente questo complica molto le cose. Il sistema dà un potere di ricatto al datore di lavoro molto forte e spesso chi ne fa più le spese sono proprio le più fragili che sono le lavoratrici straniere.
Le azioni mirate in aiuto delle lavoratrici straniere
D: Ci sono azioni, iniziative o incentivi dello Stato o della società civile mirati ad aiutare queste donne?
R: Non ci sono incentivi specifici. Ci sono però progetti che sono rivolti in particolare al mondo femminile e al mondo delle donne straniere. Penso per esempio alle linee che il ministero del Lavoro ha promosso in questi anni più recenti per progetti specificamente dedicati alle donne straniere, al loro inserimento lavorativo e anche alla loro tutela, formazione o riqualificazione. C’è poi tutto un mondo associativo, terzo settore, che non solo lavora per le donne straniere ma è formato da donne immigrate che si sono associate e che conducono la loro battaglia di civiltà per i loro stessi diritti.