Il primo maggio è la Festa dei lavoratori, un giorno di unità, solidarietà e lotta contro l’ingiustizia. In occasione di questa giornata Tag24 ha intervistato Yvan Sagnet, il fondatore di NO CAP che lotta per contrastrare il caporalato a favore dei diritti umani, sociali e anche dell’ambiente per i lavoratori agricoli e contro lo sfruttamento.
Sagnet, proveniente dal Camerun, è arrivato in Italia per studio. Nel luglio del 2011, per affrontare i problemi economici da studente fuori sede, ha iniziato a lavorare come bracciante a Nardò, Puglia. Nello stesso periodo, di fronte alle inumane condizioni di lavoro, ha organizzato una protesta che si è poi trasformata in uno sciopero duraturo. Nel 2016, per il suo contributo contro lo sfruttamento dei braccianti è stato insignito, dal Presidente Mattarella, dell’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana.
Intervista a Yvan Sagnet sui lavoratori agricoli, sfruttamento e caporalato: “È un fenomeno diffuso in tutto il Paese”
Caporalato significa sfruttamento dei lavoratori agricoli e calpestare i loro diritti e la loro dignità con lunghi orari lavorativi, riposi non allineati con i regolamenti, paghe basse ecc. Nonostante i passi avanti a livello giuridico e anche sociale rimane una realtà radicata nel paese.
D: Chi sono principalmente le vittime del caporalato? Esistono categorie specifiche o chiunque può esserne vittima?
R: Lo sfruttamento in agricoltura è trasversale. Colpisce tutte le fasce della popolazione lavorativa, più specificamente i soggetti vulnerabili del mercato del lavoro a partire dai migranti e dalle donne italiane che sono le principali vittime dello sfruttamento, in quanto deboli è più ricattabili.
D: Possiamo parlare di un fenomeno che è attribuibile ad una regione o è un fenomeno nazionale?
R: È un fenomeno diffuso in tutto il paese. Di solito sbagliamo a pensare che il caporalato, lo sfruttamento in generale, riguardi soltanto il mezzogiorno d’Italia. Colpisce anche il nord, il centro nord e il centro. Anzi, c’è un’indagine della magistratura che ci fa capire che il 55% delle inchieste per caporalato e sfruttamento sono concentrate nelle aree del centro nord Italia.
Se nel sud abbiamo la presenza del caporalato tradizionale, cioè di uomini che sfruttano altri uomini, al nord si sta diffondendo un fenomeno che è quello delle cooperative spurie e delle agenzie interinali. Sono tutte persone giuridiche che portano avanti un sistema di sfruttamento della manodopera in modo illegale. Quindi è una sorta di caporalato legalizzato.
Sagnet: “Fin’ora abbiamo visto solo una risposta parziale al problema dello sfruttamento”
D: Dal 2011, quando ha avuto il primo contatto con la realtà del caporalato, ad oggi, dopo anni di battaglie, il fenomeno è cambiato?
R: Non ci sono stati grandi cambiamenti dal 2011 ad oggi. Qualcosa si è ottenuto dallo sciopero di Nardò e dalle altre battaglie che sono state fatte successivamente. Mi riferisco per esempio all‘articolo 603 Bis del Codice Penale (Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro) che è stato introdotto nel 2011, o alla legge 199, la cosiddetta legge contro il caporalato, che è stata introdotta nel 2016.
Sono state messe in campo varie inchieste e vari progetti da parte delle istituzioni. Sono tutte esperienze e strumenti che purtroppo hanno dato una risposta parziale al problema dello sfruttamento. Le soluzioni strutturali non sono state ancora attuate. Per questo un cambiamento tarda ancora a manifestarsi per rispondere alle esigenze dei lavoratori.
I passi necessari nella lotta contro il caporalato
D: Cosa intende quando parla di un cambiamento strutturale? Quali politiche bisogna apportare?
R: Quando parlo di cambiamento strutturale, parlo di un’azione che va a cambiare la vita di tutti i lavoratori. I progetti attuati hanno risolto i problemi di qualche centinaio di lavoratori, invece in Italia esistono milioni di lavoratori agricoli.
Bisogna passare dai piccoli progetti a strumenti che possano modificare completamente il corso delle cose. La legge 199 sicuramente è stata un passo in avanti in quanto ha permesso all’Italia di dotarsi di una norma giuridica penale per arrestare chi si macchia del fenomeno dello sfruttamento. Sappiamo benissimo però che la 199 dà più una risposta repressiva. Serve, invece, un sistema che vada nella direzione della prevenzione quindi una riforma complessiva.
Non pensiamo che basti arrestare qualche caporale o fermare qualche azienda per risolvere il problema. Non possiamo lasciare tutto questo nelle mani della magistratura e delle forze dell’ordine. Vanno implementate altre soluzioni a partire da una riforma dei centri per l’impiego o da altre forme di collocamento.
Oggi i caporali hanno sostituito gli enti di collocamento. Se i datori di lavoro o qualsiasi impresa ha bisogno di manodopera non va più nei centri per l’impiego a chiederla, anche perché lì ormai non si iscrive più nessuno. In Germania, per esempio, più dell’80 per cento della forza lavoro viene identificata tramite i centri per l’impiego. In Italia, questo ruolo, in alcuni casi, è stato assorbito dai caporali.
È necessario ripensare i centri per l’impiego nell’ottica di ciò che dovevano essere, cioè una modalità legale di incrocio tra l’offerta è la domanda di lavoro. Questa è una riforma che deve passare dallo Stato.
Servirebbe un’altra riforma fondamentale per l’ispettorato del lavoro. Le ispezioni nel nostro paese sono carenti. Quando lavoravo come bracciante lo facevo in nero, senza contratto. Non ho mai visto un ispettore del lavoro venire a fare i controlli nei campi o a chiedermi “Dov’è il tuo contratto? Quanto ti pagano? Quante ore fai al giorno?”.
Manca l’ispettorato oppure non c’è una volontà dello Stato e delle istituzioni al potere di reprimere attraverso i controlli alle aziende. Con una nostra indagine abbiamo scoperto che in Italia ci sono soltanto 5mila ispettori del lavoro rispetto alle milioni di imprese agricole presenti sul territorio. È una vergogna. In Germania, gli ispettori del lavoro sono 80mila.
Bisognerebbe anche risolvere i temi legati all’accoglienza dei lavoratori stagionali. I ghetti che proliferano in tutto il paese sono luoghi della vergogna umana. Non si può vivere, nel 21esimo secolo, in quelle condizioni. Quel tipo di luoghi hanno sostituito quelli che lo Stato avrebbe dovuto mettere a disposizione, cioè delle strutture legali per l’accoglienza dei lavoratori stagionali che sono un bene per la nostra economia.
Il ruolo della società civile
D: Che cosa stanno facendo la società civile e le associazioni? Che cosa bisogna fare ancora?
R: Ognuno deve fare la sua parte. Ci sono tante soluzioni che messe insieme possono dare una risposta. Per esempio la stampa e i giornalisti fanno un lavoro egregio per poter informare e sensibilizzare l’opinione pubblica. La Chiesa e le Ong, altre associazioni caritative come la Caritas e i sindacati sono ugualmente indispensabili in questa battaglia. Spesso, però, non si riesce a fare rete sul territorio e dare più forza al nostro obiettivo comune che è quello di ridare dignità al lavoro e ai lavoratori nel nostro paese.
L’impegno di NO CAP
D: Cosa proponete come NO CAP?
R: Abbiamo pensato ad un sistema per il quale si va ad aggredire e a colpire i problemi alla fonte. Abbiamo notato che il caporalato, lo sfruttamento e le aziende che si avvalgono dei caporali sono funzionali a un sistema economico capitalistico ultra liberista che ha dato maggior potere di sfruttamento alle multinazionali in particolare ai supermercati.
Ci siamo resi conto che denunciavamo sempre di più i caporali ma la situazione non cambiava. Non parlavamo di un altro aspetto che per noi era la causa principale. I supermercati da decenni decidono i prezzi dei prodotti, di conseguenza le sorti del mondo agricolo a livello nazionale e a livello mondiale.
D: Cosa fanno concretamente i supermercati?
Impongono i prezzi dei prodotti che sono sempre più bassi per cui si perde la sostenibilità che vuole il settore agricolo. Se i supermercati impongono un costo 9 centesimi per un chilo di arance, come può il produttore di Rosarno in Calabria affrontare i vari costi per la produzione? Purtroppo abbiamo creato un sistema mondiale per cui il potere contrattuale degli agricoltori è pari a zero. Comandano e governano solo le multinazionali. Le aziende agricole non avendo scelta, sono costrette a loro volta a sfruttare l’anello più basso della filiera cioè i lavoratori.
Come NO CAP abbiamo capito che bisogna risolvere tutti i problemi a 360 gradi. Abbiamo messo in campo la più grande rete a livello europeo che comprende i lavoratori, i produttori, i supermercati e il consumatore finale. Pensiamo che sia una battaglia comune e abbiamo fatto capire a ciascuno di questi attori gli interessi di ognuno.
Abbiamo portato avanti vari esperimenti che si sono dimostrati un successo. Abbiamo coinvolto diverse aziende che hanno capito che non è giusto e non è conveniente sfruttare i lavoratori. Per queste realtà abbiamo trovato noi i lavoratori che hanno avuto tutti un contratto di lavoro giusto, lavorano negli orari consoni alle leggi e gli straordinari, quando ci sono, vengono riconosciuti regolarmente.
Siamo riusciti a coinvolgere la società civile. La Chiesa ci mette a disposizione delle abitazioni per i lavoratori. Così abbiamo eliminato i ghetti. La dignità non riguarda solo il lavoro ma riguarda anche come vivi. Abbiamo organizzato anche i trasporti fondamentali. Tutto questo grazie alle aziende che hanno capito che senza l’impresa non c’è lavoro e che senza i lavoratori non c’è l’impresa. I supermercati che oggi collaborano con noi comprano i prodotti alle imprese ai prezzi giusti.
L’attore fondamentale però è il consumatore finale. In Italia siamo 60 milioni di abitanti e mangiamo tutti i giorni. Spesso quando facciamo spesa al supermercato non sappiamo cosa portiamo a casa e molti dei prodotti che compriamo arrivano dalle filiere dello sfruttamento.
È importantissimo rendere consapevoli i consumatori. Bisogna arrivare a chiedersi sempre: “Dietro quel prodotto chi c’è? I lavoratori sono stati rispettati sì o no?”. Queste sono le domande che cambieranno il mondo perché la nostra indifferenza va ad alimentare e mantenere quel sistema basato sullo schiavismo e sullo sfruttamento. Per questo la nostra associazione ha inventato il bollino etico NO CAP che segnala quali prodotti vengono da una filiera sana dove l’azienda ha ricevuto un prezzo giusto, quindi ha sostenibilità economica e i lavoratori hanno avuto i loro diritti riconosciuti a tutti gli effetti.
Il ruolo dei consumatori
D: Quanto è difficile convincere il consumatore a fare una scelta etica? C’è chi pensa che facendo scelte giuste può cambiare il mondo, altri pensano che quello che fanno nel loro piccolo non può avere impatti.
R: Penso che non serva una grande rivoluzione. Sono le piccole scelte di tutti i giorni che fanno la differenza. Più siamo a fare quelle piccole scelte più diventiamo una massa critica. Il cambiamento parte da ciascuno di noi e da come ci comportiamo verso gli altri.
I 5 euro di spesa che facciamo fanno la differenza perché sono un dato politico. Un conto è decidere di spenderli per una filiera dove le multinazionali continuano ad arricchirsi, le aziende usano i caporali e i lavoratori non hanno dignità, un altro è fare la scelta giusta. È una battaglia culturale e io credo ancora nelle battaglie culturali. Sono molto ottimista su questa cosa.