Sant’Anna di Stazzema, Marzabotto, Fosse Ardeatine: sono solo alcuni dei nomi di luoghi entrati a far parte della storia comune del nostro Paese. Nomi di luoghi di stragi commesse da nazisti e fascisti tra il 1943 e il 1945, anni in cui l’Italia, uscita dal secondo conflitto mondiale – combattuto al fianco della Germania hitleriana – sprofondò in una guerra civile. Tra questi nomi compare anche quello di Civitella in Val di Chiana, in provincia di Arezzo: è il luogo che il presidente Sergio Mattarella ha scelto di ricordare in occasione del 25 aprile di quest’anno.
La ricostruzione della strage nazifascista di Civitella in Val di Chiana: cos’è successo il 29 giugno del 1944
“Civitella è stata teatro di una terribile strage nazifascista […]. Sottolineare l’importanza della Liberazione e il prezzo pagato da tutti i cittadini italiani, anche i civili, anche i più inermi, per conquistare la libertà e la democrazia, è essenziale oggi più che mai, mentre nuove guerre insanguinano l’Europa e le zone ad essa vicine”, aveva dichiarato il presidente della Regione Toscana Eugenio Giani nel commentare la decisione del presidente Mattarella di visitare il paese arezzese in occasione del 25 aprile.
Lo riportavano diverse fonti locali, ricordando che quest’anno l’eccidio avrebbe compiuto 80 anni. Si consumò il 29 giugno del 1944, giorno della commemorazione di San Pietro e Paolo, patroni della città. Era una domenica. In tanti avevano preso posto tra le panche della chiesa di Santa Maria Assunta quando, all’improvviso, in quattro aprirono il fuoco sulla folla: erano nazisti appartenenti al comando di Hermann Göring in ritirata. Il parroco, don Alcide Lazzari, chiese loro di risparmiare i fedeli, offrendo, in cambio, la propria vita.
Non servì a niente. Nelle ore succissive donne, uomini e bambini sarebbero stati scovati e trascinati in piazza, venendo uccisi. In 149 caddero sotto i colpi delle mitraglie; tanti morirono carbonizzati all’interno delle loro case date alle fiamme per poi essere derubati dai soldati, che colpirono, lo stesso giorno, anche i centri abitati vicini, tra i quali Cornia e San Pancrazio di Bucine. In totale si registrarono 244 vittime.
I sopravvissuti all’eccidio
Qualcuno, miracolosamente, sopravvisse all’eccidio. Tra loro c’è Luciano Giovannetti, che all’epoca aveva appena 10 anni e che oggi è vescovo. Più volte si è espresso su quanto accaduto quasi 80 anni fa. Pochi giorni prima, il 18 giugno, dei fascisti e dei nazisti si erano scontrati con una banda di partigiani del luogo nel circolo ricreativo del “dopolavoro”.
Poi la reazione, la strage, che costò la vita a centinaia di persone e che anche coloro che ancora sono in vita non riescono a dimenticare. “La notte torniamo tutti lì. Rivediamo il sangue, sentiamo le grida, ci copriamo le orecchie perché le pallottole ci passano vicino. E ci chiediamo perché un simile orrore è accaduto”, aveva raccontato monsignor Giovannetti ad Arezzo Today.
Non fu, purtroppo, l’unico caso nel suo genere: nel marzo del 1944 in 335, tra militari e civili, furono trucidati a Roma dalla truppe di occupazione tedesche come rappresaglia per un attentato partigiano avvenuto in via Rasella il giorno precedente. Un episodio drammatico, noto come “eccidio delle Fosse Ardeatine” per il nome delle profonde cave in cui i corpi delle vittime furono gettati.
Qualche mese dopo, in provincia di Bologna, a Marzabotto, 197 persone, tra cui 52 bambini, furono uccise in una serie di attentati di matrice nazifascista. Attentati che a distanza di anni occorre ricordare, se si vuole fare in modo che gli errori del passato non si ripetano.