Quando uccise la compagna Giulia Tramontano a coltellate nell’appartamento che condividevano, il 27 maggio dello scorso anno, Alessandro Impagnatiello “non era in sé, ha avuto un black out”: è ciò che emergerebbe dalla consulenza psicologica che la difesa dell’ex barman ha da poco depositato alla Corte d’Assise di Milano nell’ambito del processo che lo vede imputato per omicidio volontario aggravato, occultamento di cadavere e interruzione non consensuale di gravidanza.
Alessandro Impagnatiello “non era in sé” al momento dell’omicidio di Giulia Tramontano: la tesi della difesa
A darne notizia è La Repubblica, secondo cui gli avvocati Giulia Geradini e Samanta Barbaglia, che difendono il 30enne, punterebbero ora alla richiesta di una perizia psichiatrica per accertare un suo eventuale vizio di mente.
Se gli venisse riconosciuto, l’uomo – che attualmente rischia una condanna all’ergastolo – potrebbe beneficiare di uno sconto di pena. Secondo i consulenti della difesa, soffrirebbe di un “disturbo ossessivo paranoico” dovuto al suo “forte narcisismo” e il giorno dell’omicidio della compagna avrebbe avuto un “black out”.
Nel corso della prima udienza del processo che lo vede imputato per omicidio volontario aggravato, occultamento di cadavere e interruzione non consensuale di gravidanza aveva preso la parola e, rilasciando delle dichiarazioni spontanee, oltre a chiedere perdono alla famiglia della vittima, aveva detto di “non aver capito cosa gli fosse successo”.
Per qualcuno si tratta solo di “strategia”: dalle indagini e dall’audizione dei testimoni dell’accusa è emerso che per mesi avrebbe avvelenato la 29enne e il bimbo che portava in grembo, fingendosi addirittura felice davanti agli amici e ai parenti. Il prossimo 27 maggio, giorno del primo anniversario del delitto di cui si è macchiato, sarà interrogato e potrà fornire la propria versione dei fatti.
Cosa è emerso finora nel corso del processo a carico dell’ex barman
Secondo la Procura, la sera del 27 maggio Impagnatiello accoltellò Giulia – che era da poco rientrata da un incontro “chiarificatore” avuto con l’altra ragazza che lui frequentava – mentre era di spalle, impedendole di difendersi: dopo averla uccisa provò a bruciarne il corpo nella vasca da bagno e poi nel box auto collegato all’abitazione in cui convivevano.
Il giorno successivo ne denunciò la scomparsa, parlando agli inquirenti di un “allontanamento volontario“: sostenne che la giovane fosse andata via a piedi dopo un litigio. Non era vero. Lo avrebbe ammesso solo davanti agli agenti della scientifica recatisi nel suo appartamento per verificare che non ci fossero tracce di sangue: sapeva che di lì a poco il castello di bugie che aveva costruito sarebbe crollato.
Stando alla testimonianza di uno dei carabinieri che per primi si occuparono del caso, prima che la 29enne rincasasse aveva “preparato la scena”: “sono state trovate tracce di sangue sotto il tappeto, ma non sopra”, come se lo avesse spostato. Dettaglio che fa pensare che avesse programmato l’aggressione mortale. Come lo fanno pensare le ricerche che aveva fatto online nelle ore precedenti.
L’ipotesi che la difesa avrebbe comunque provato a puntare su un suo possibile vizio di mente era già emersa: non è un caso che i legali di Impagnatiello abbiano indicato come persone da ascoltare solo uno psichiatra e uno psicologo. L’avvocato della famiglia Tramontano, Giovanni Cacciapuoti, interrogato dai giornalisti circa questa possibilità, aveva detto – al termine di un’udienza – di aver già nominato dei consulenti di parte, gli psichiatri Salvatore De Feo e Diana Galletta, nel caso ce ne fosse stato il bisogno.
“Se verrà il momento, saremo pronti a difenderci con gli strumenti del diritto e della scienza psichiatrica per far valere le ragioni della famiglia di Giulia e della giustizia“, aveva dichiarato ai microfoni de La Presse.