Postare una foto sui social è davvero un gesto così innocuo? Probabilmente, per molti la risposta potrebbe essere ““, eppure i pericoli che si nascondono dietro lo sharenting sono tutt’altro che “innocui“. Questo termine – ancora troppo poco noto – definisce, appunto, il gesto di condividere sulle piattaforme le foto dei propri figli in continuazione e ritraendoli in qualsiasi occasione.

Il fenomeno, quindi, rappresenta una grave problematica dal momento che molti genitori non si rendono conto dell’esposizione e dei rischi che provocano nei loro figli. A questo proposito, il Prof. Pietro Ferrara, docente ordinario di Pediatria presso il Campus Bio-medico di Roma ha delineato una panoramica generale, seppur parziale, della situazione italiana ai giornalisti di TAG24 e ha spiegato quali patologie potrebbero sviluppare bambini e adolescenti sottoposti allo sharenting.

Sharenting, prof. Ferrara: “Quasi il 20% dei genitori posta foto dei figli già prima della nascita”

Prende sempre più piede l’abitudine di condividere qualsiasi momento della vita sui social. Momenti privati che improvvisamente diventano di dominio pubblico: la cena al ristorante, la passeggiata in centro o la colazione a letto.

Alcune persone, però, mettono sulla pubblica piazza anche dettagli o informazioni relative ai propri familiari, in special modo dei propri figli. Ecco, quindi, che nasce lo Sharenting, la nuova “moda” del postare sui social le foto di bambini e adolescenti ritratti in attimi di quotidianità.

Purtroppo, non sempre i genitori chiedono il consenso ai figli prima di compiere questo gesto, ritenendolo innocuo. Infondo, è solo una foto su Facebook? Come il prof. Pietro Ferrara dell’Università Campus Bio-medico di Roma e referente Nazionale per Maltrattamento e Abuso spiega, le cose non stanno proprio così.

D: Qual è la situazione italiana al momento?

R: Purtroppo non abbiamo dati forti a livello nazionale. Ma, abbiamo condotto uno studio su oltre 400 genitori, che ha confermato per certi aspetti quelli che sono i dati internazionali. Circa l’80% del nostro campione erano madri e il 20% padri con bambini da 0 a 16 anni. Cosa è venuto fuori? Intanto che quasi il 70% dei genitori ha più di un account, a differenza del restante 30% circa che ha un solo account social.

Di queste persone intervistate il 70% condivide delle foto dei propri figli con una frequenza molto variabile, che va dalla condivisione quotidiana a quella settimanale. Circa 1 genitore su 4 ha pubblicato foto dei figli online, addirittura è presente un 7% di genitori ha postato foto in utero. A questo dobbiamo aggiungere un altro 12% che ha postato foto alla nascita.

D: Questi genitori, però, non sono consapevoli dei rischi?

R: Una domanda del nostro studio riguarda proprio il “Perché lo hai fatto?“. La maggior parte, quasi 1 genitore su 2 dice di voler creare un archivio di ricordi. Il 15% per socializzare o avere consigli da altri genitori. C’è una piccola percentuale che mostra, invece, un costante bisogno di approvazione rispetto al proprio ruolo di genitore. Questa “approvazione” si traduce in like.

Alla domanda se avessero mai chiesto il consenso ai propri figli per pubblicare le immagini online, 1 genitore su 3 non lo chiede. Invece, alla domanda relativa a quale aspetto ritenessero maggiormente danneggiato nei bambini le cui foto sono condivise sui social, il 70% risponde “la privacy“. Però, ciò che fa davvero riflettere è che il 10% dei genitori risponde che non è danneggiato alcun aspetto.

I danni dello sharenting, Ferrara: “Intacca la qualità e l’aspettativa di vita dei bambini e degli adolescenti”

Esempi lampanti di questa “vita da social” sono proprio i vip e gli influencer nostrani. Per questo, lo scorso 11 aprile, si è tenuta a Montecitorio una conferenza stampa, durante la quale la deputata M5S Gilda Sportiello ha avanzato una proposta di legge per la tutela dei baby influencer e una regolamentazione dello Sharenting.

In conferenza stampa, il prof. Ferrara aveva delineato i danni provocati da questa pratica, inserendola nel più ampio quadro delle cosiddette “esperienze negative dell’infanzia“.

D: Cosa si intende per “esperienze negative dell’infanzia”?

R: Dal 2005 non si parla di abuso o maltrattamento suddiviso nelle varie forme, poiché è più una categorizzazione utile a livello didattico, ma di “esperienze negative dell’infanzia“. Queste sono riconosciute essere una delle cause a distanza di problematiche di tipo psicologico come ansia, depressioni, tentativi di suicidio, autolesionismo ecc. Inoltre, l’esposizione allo stress tossico continuativo di qualunque natura può causare una modifica di certi equilibri endocrinologici e biochimici che determina un danno organico a organi e apparati.

Le conseguenze più comuni sono l’obesità, le cefalee. Vi è, però, la possibilità che insorgano casi più gravi come lo sviluppo di malattie autoimmuni e – come segnalato da alcuni studi – di tumori. Una cosa importante da sottolineare è che queste “esperienze negative dell’infanzia” non minano solamente la qualità della vita di questi bambini. È stato dimostrato, infatti, che chi vive peggio e con numerose esperienze negative dell’infanzia ha un’aspettativa di vita più breve: lo stress tossico danneggia i telomeri del DNA correlati alla lunghezza della nostra vita.

D: Come si può arginare il fenomeno? L’informazione è sufficiente?

R: Più che fare informazione, si dovrebbero seguire alcuni consigli condivisi anche dalla Società italiana di Pediatria. Ovvero: familiarizzare con le policy e le regole relative alla privacy; attivare delle notifiche che avvisino i genitori quando su google compare il nome dei propri figli; dare qualsiasi informazione legata ai propri figli in maniera anonima. Ciò implica il non mettere volti, evitare le semi nudità, essere molto cauti per evitare che ci sia una localizzazione geografica e non inserire il nome completo dei bambini per sventare furti di identità.

Inoltre, è essenziale chiedere il consenso ai ragazzi più grandi e, infine, considerare anche quello che può essere l’effetto a distanza in un adolescente che rivede certe foto, che se fatte in un contesto di gioia, di gioco ecc, poi invece minano il benessere psicologico. Possono rivedersi grassi oppure marchiati da un episodio postato sui social, come l’avere il cioccolato in faccia durante la festa di compleanno, dunque, bisogna tenere conto di tutto quello che può comportare un’alterazione nel bambino.