In Italia il personale sanitario è ridotto ai minimi termini: infermieri e medici arriveranno dal Sudamerica secondo i piani dell’assessore al Welfare lombardo Guido Bertolaso. Una chiamata ai rinforzi per far fronte alla diaspora nel nostro Paese, tra chi sceglie di andare via per contratti e opportunità di vita migliori, e chi da grande sogna di fare il medico ma tra mille ostacoli – a partire dallo scoglio dei test di ingresso nelle università per finire con gli stipendi da fame – non ci riesce o abbandona l’impresa.

Bertolaso, di ritorno da un viaggio in Argentina e Paraguay, entro dicembre vorrebbe assumere i primi infermieri dal Sudamerica. “Abbiamo ricevuto disponibilità dai governi e dalle associazioni di categoria per oltre 30.000 infermieri e oltre 500 medici”. Queste le parole provenienti direttamente dall’assessore.

Invece di investire nelle risorse all’interno dell’Italia e attuare le migliorie promesse dopo il Covid, impendendo così l’esodo di medici e infermieri, si sta portando avanti la politica di chiamare a raccolta il personale da altri Paesi (in particolare Argentina, Paraguay e Cuba). Perché? Tag24 ha deciso di approfondire l’argomento per comprendere meglio quello che sta accadendo.

La scelta di Bertolaso non trova il favore di molti addetti ai lavori, stanchi di credere in false speranze e di veder andare via i talenti nostrani. La situazione sembra che stia per capitolare ed è il sintomo di una profonda crisi nel sistema sanitario nazionale che va avanti da anni. Nell’ondata di dissensi, spicca il parere del Professore e Ricercatore Matteo Bassetti, Direttore della Clinica Malattie Infettive dell’Ospedale Policlinico di San Martino di Genova, con cui Tag24 ha deciso di entrare nel vivo della questione.

Infermieri dal Sudamerica in Italia, Bassetti: “La sanità è collassata per colpa della politica, per questo si cerca fuori”

D: Cosa pensa della richiesta di Guido Bertolaso di procacciare “rinforzi” per sopperire alla mancanza di personale sanitario in Italia, rivolgendosi all’estero? Condivide la scelta di chiamare medici e infermieri dal Sudamerica? Si è parlato di accordi con Argentina, Paraguay e Cuba…

R: E’ un problema che viene da lontano. Il fatto che in questo Paese manchino professionisti sanitari è un dato di fatto. Ci sono due problemi fondamentali. Da una parte – soprattutto per quanto riguarda i medici – sono stati prodotti sempre meno professionisti di quanti ce ne fosse bisogno, in particolare negli ultimi dieci anni. Dall’altra parte c’è stato il blocco delle assunzioni nella sanità pubblica, per cui in massa hanno deciso di andare a lavorare all’estero o nel sistema privato.

Un riflettore va puntato sulla Lombardia: in tantissimi hanno scelto di migrare in Svizzera, nostro concorrente spietato al nord, sia per quanto riguarda i medici che gli infermieri. Quindi questi due fattori si sono uniti e la situazione è degenerata. Se da un lato c’è poca produzione e dall’altro i professionisti non si attirano nel sistema perché non vengono assunti, ci sono solo contratti a tempo determinato, le paghe scarseggiano, le condizioni di lavoro non sono adeguate, era inevitabile arrivare ad punto di non ritorno. Dunque ora se si vuole far andare avanti la macchina, soprattutto quella pubblica, evidentemente bisogna andare a pescare fuori.

E’ paradossale tutto questo perché siamo una delle scuole migliori del mondo, sia a livello infermieristico che medico. Il mondo intero viene ad imparare come li formiamo noi, li vengono a prendere da noi sapendo che sono i migliori e noi, anziché tenerli, li esportiamo. E’ allucinante, però la colpa è esclusivamente della politica che, in questi anni, non ha saputo destreggiarsi in un problema che, si sapeva, avrebbe arrivato.

Quindi oggi la politica pesca fuori dall’Italia ma sarebbe bene che si guardasse dentro e facesse un po’ di autocritica. Se siamo arrivati a questo punto evidentemente non è certo per colpa dei medici, non è certo per via degli infermieri, la colpa è da additare a di chi non è stato in grado di organizzare diversamente il sistema.

Bassetti: “Medici e infermieri italiani sono un’eccellenza. Dobbiamo farli restare”

Il Professor Bassetti ricorda quanto sia alto il livello di preparazione e di competenza dei medici e degli infermieri italiani. Una certezza di cui il sistema è a conoscenza, a dispetto dell’interrogativo che ci si pone rispetto al background di chi viene da fuori. E conintua:

Medici e infermieri ad oggi sono merce rara, soprattutto quelli italiani. Andiamo a pescare da altre parti ma bisogna vedere se all’estero dispongono del nostro stesso livello di competenza. Per quanto riguarda le scuole mediche e infermieristiche italiane abbiamo delle garanzie, delle certificazioni, dei riconoscimenti internazionali. Io non lo so se il Paraguay offre lo stesso livello di qualità della formazione che abbiamo noi. Vorrei verificarlo.

Ci sono sicuramente ottimi medici e infermieri, però bisogna sempre guardare la media, per vedere se è uguale alla nostra. Stiamo assumendo medici o infermieri che sono già in grado di lavorare in un sistema come il nostro? Con tutto quello che rappresenta, la barriera linguistica, quella tecnologica, perché non credo che lo sviluppo tecnologico del Paraguay sia esattamente lo stesso che abbiamo in Italia.

Ormai la sanità è fatta di tecnologia. E’ un dato di fatto. E bisogna anche saperla utilizzare. Quanto tempo ci vuole per formare un medico, un infermiere che possa adeguatamente saper usare il nostro sistema? Queste sono domande che vanno poste. Dopodiché è chiaro che Bertolaso non è che può farne a meno. Se non c’è personale non è che si possono chiudere gli ospedali.

Quegli altri devono prendere i medici dall’Ucraina. Bene. In una situazione di emergenza, oltre a chiamare qualcuno dall’estero, si potrebbe optare per un’altra soluzione. Ad esempio fare entrare tutti a medicina per i prossimi due anni, dando la possibilità di accedere all’università a tutti quelli che vogliono fare i medici, siccome abbiamo bisogno di produrre…”.

Infermieri e medici in Italia: come arginare la carenza? Bassetti: “Servono i fatti: aprite le università e migliorate le condizioni di lavoro”

“Di recente si è aumentato un pochino il numero dei medici ma ancora in modo non sufficiente a colmare quello che è un gap durato trent’anni. Per tutto questo tempo abbiamo prodotto molti meno medici di quanti ne abbiamo bisogno oggi. Io ho sentito tanti bei proclami, idee molto promettenti, però il problema poi è passare ai fatti, perché la formazione di un medico o la formazione di un infermiere non è che si fa in un giorno. Si deve affrontare la questione a tavolino, con programmi ed organizzazione, Perché i risultati di un cambiamento si vedranno tra una decina di anni”.

Il Professore poi insiste sulla necessità e l’urgenza di migliorare le condizioni di vita e di lavoro del personale sanitario nel settore pubblico:

“Forse vale la pena anche cambiare le condizioni del personale medico-infermieristico, perché se continuiamo così ci sarà sempre di più una diaspora degli italiani verso il privato o l’estero. Dobbiamo produrre più personale ma allo stesso tempo dobbiamo attirare quelli che hanno studiato qui, che abbiamo formato, per cui abbiamo speso milioni di euro, perché formare un infermiere, formare un medico allo Stato italiano costa milioni di euro. Oggi nel momento in cui i ragazzi sono pronti, poi se ne vanno all’estero o nel settore privato.

Bisogna cambiare anche il sistema, con contratti di lavoro vantaggiosi, condizioni di lavoro migliori, non solo economiche. Non si tratta solo di una questione di denaro. È proprio un problema di qualità del lavoro, orari, ambiente, tutele, incolumità dei medici“.

D: Si riferisce agli episodi di aggressione contro i medici?

R: Ogni giorno senti storie di qualcuno preso a calci o a pugni. Se io domani mattina prendo un pugno, la situazione è esattamente quella che c’era cinque anni fa. Non è vero quello che raccontano, che l’aggressore viene perseguito direttamente come ospedale. Quindi tante parole e pochissimi effetti.

D: Un sistema allo sfascio…Il vaso di Pandora si è aperto con il Covid?

R: Si è aperto con il Covid perché dal lì in poi non si è mai stati capaci di mantenere le promesse. Ci siamo tutti rimboccati le maniche e alla fine l’abbiamo sfangata, come si suol dire. Gli infermieri, gli operatori sanitari, i militi, gente che ha lavorato su 24 ore e 25 per stare dietro a tutti. Era stato detto che dopo la fine del Covid ci sarebbe stata la più grande riforma della sanità della storia. Io non l’ho ancora vista.