Negli ultimi giorni il suo nome è salito alla ribalta delle cronache perché in una scuola del Vomero, a Napoli, degli studenti avrebbero applaudito la scena in cui nel film “Fortapàsc” viene ucciso per mano della camorra: ecco chi era Giancarlo Siani, come è morto e con quali parole il fratello Paolo ha commentato l’episodio su cui il ministro Valditara ha assicurato “che farà luce”.

Chi era Giancarlo Siani e come è morto? La storia

Alla morte non si applaude, mai, per nessuno. Davanti alla morte si resta in silenzio, questo non va neppure spiegato. Ma se invece accade, se alcuni ragazzi, pochi, molto giovani, di una scuola che si sta impegnando per far crescere in loro il senso della legalità e della giustizia, applaudono alla morte violenta e quindi scelgono di stare dalla parte di chi spara, c’è bisogno che noi tutti, ci si interroghi sul perché. Adesso, subito, prima che sia troppo tardi. Non possiamo far finta di nulla, dobbiamo intervenire, spiegare, raccontare e lo dobbiamo fare con più forza, più veemenza, più coraggio, più passione, tutti,

ha scritto sui social Paolo Siani, fratello del giornalista ucciso dalla camorra, facendo sapere che nei prossimi giorni si recherà personalmente nella scuola in cui degli studenti avrebbero applaudito la scena in cui nel film “Fortapàsc” l’uomo viene ucciso per raccontare loro “chi era”.

Lavorava per Il Mattino e aveva appena compiuto 26 anni quando, il 23 settembre del 1985, fu freddato a colpi di arma da fuoco davanti alla sua abitazione di via Vincenzo Romaniello, al Vomero. Aveva appena parcheggiato la sua auto, una Citroen Mehari verde, a pochi passi dal portone: due uomini lo raggiunsero e gli spararono alla testa e al petto, lasciandolo inerme all’interno dell’abitacolo.

Qualche mese prima, il 10 giugno 1985, aveva firmato un articolo in cui, raccontando l’arresto del boss Valentino Gionta, avvenuto un paio di giorni prima a Marano di Napoli, accusava i clan Nuvoletta e Bardellino, affiliati, rispettivamente, ai Corleonesi di Totò Riina e alla “Nuova famiglia” di Raffaele Cutolo, di averlo tradito – facendo una soffiata ai carabinieri – “per mettere fine alla guerra tra clan” e raggiungere “un patto di pace”.

Un pezzo senza filtri che fu, secondo molti, la sua condanna a morte: Siani aveva messo nero su bianco una serie di nomi che molti, all’epoca, temevano anche solo di pronunciare. Era diventato un personaggio “scomodo”, una penna “scomoda”: questo il motivo per cui si decise di farlo fuori.

I responsabili dell’omicidio

Immediatamente si iniziò ad indagare. La svolta, però, arrivò solo dieci anni più tardi, quando Salvatore Migliorino, diventato collaboratore di giustizia, rivelò al magistrato della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli Antonio D’Alterio, i nomi dei mandanti e degli esecutori dell’omicidio: Lorenzo e Angelo Nuvoletta e Luigi Braccianti, Ciro Cappuccio e Armando Del Core.

Tutti sono stati condannati. Nonostante la verità processuale, c’è chi sostiene, comunque, che sul caso del giornalista non sia mai stata fatta pienamente luce: l’ipotesi è che dietro la sua morte possano celarsi altre cause oltre all’articolo di giugno. Che Siani, impegnato da anni nella lotta contro le mafie a tutti i livelli, avesse scoperto qualcosa di importante sulla criminalità locale.

Qualcosa di cui avrebbe voluto parlare con il suo ex direttore Amato Lamberti quando, chiamandolo al telefono, gli disse di volergli dire cose “che al telefono è meglio non dire”. In mancanza di riscontri restano tutte ipotesi. L’unica certezza è quella di una vita strappata troppo presto, in modo violento, analogamente a quanto accaduto a personalità come Beppe Alfano o Peppino Impastato.

Il film su Giancarlo Siani

Il film che ripercorre la storia del giornalista dall’inizio alla tragica fine è intitolato “Fortapàsc” (2009) ed è diretto da Marco Risi. Se ne sta parlando in relazione ai fatti avvenuti in una scuola del Vomero. Fatti che hanno lasciato i più esterrefatti: il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara, nel commentarli, ha ricordato che “la scuola deve essere il primo presidio di legalità”, promettendo “di agire per fare piena luce sull’accaduto”.