Ventinove anni di reclusione: è questa la condanna riconosciuta dai giudici della Corte d’Assise d’Appello di Bari a Giuseppe Difonzo, il 36enne che nella notte fra il 12 e il 13 febbraio del 2016 soffocò la figlia di appena tre mesi mentre era ricoverata in ospedale. A riportarlo è La Gazzetta del Mezzogiorno, secondo cui l’uomo sarebbe stato condannato, di recente, anche per violenza sessuale su una minorenne, la figlia 14enne di una sua coppia di amici.

Condannato a 29 anni di reclusione Giuseppe Difonzo: nel 2016 soffocò la figlia neonata a Bari

L’uomo, originario di Altamura, sarebbe affetto dalla “sindrome di Münchausen per procura, una patalogia psichiatrica che porta coloro che ne soffrono a simulare una malattia nei propri figli, spingendoli a far loro del male per attirare l’attenzione su di sé.

Nella notte fra il 12 e il 13 febbraio del 2016 soffocò la bimba di appena tre mesi che la compagna aveva dato alla luce, di nome Emanuela, mentre era ricoverata in ospedale a Bari: ci era arrivata, come già altre volte prima, a causa di una crisi respiratoria.

Stando a quanto ricostruito nel corso delle indagini, era proprio lui a provocargliele e per ben due volte, il 19 novembre del 2015 e il 10 gennaio del 2016, aveva addirittura provato ad ucciderla in casa. Arrestato, finì a processo e in primo grado fu condannato a 16 anni di reclusione.

Si riteneva che il suo fosse un caso di omicidio preterintenzionale. Pochi mesi dopo i giudici d’Appello riqualificarono, però, l’ipotesi di reato, condannando l’uomo all’ergastolo dopo averlo riconosciuto colpevole di omicidio volontario aggravato dalla premeditazione.

Una sentenza dura, che la Corte di Cassazione decise di annullare, disponendo, nei confronti di Difonzo, che nel frattempo era stato scarcerato, un nuovo processo di secondo grado: quello che ieri, 22 aprile, si è chiuso con la condanna del 36enne a 29 anni di reclusione. Condanna che potrebbe a breve diventare definitiva.

Genitori che uccidono i figli

Difonzo sarebbe stato spinto al gesto estremo dal suo disturbo psichiatrico, ma sono diversi i casi di genitori che uccidono i figli per i motivi più disparati. Alcuni, nel corso del tempo, sono diventati tristemente noti: si pensi a quello del piccolo Lorys Stival, ucciso dalla madre Veronica Panarello a Santa Croce Camerina, in provincia di Ragusa, il 29 novembre del 2014.

Un caso rimasto impresso nella mente di molti, come quello di Samuele Lorenzi, morto a tre anni, il 30 gennaio del 2002, nell’abitazione in cui viveva insieme alla sua famiglia per mano della madre Annamaria Franzoni, che non ha mai confessato. Secondo gli esperti non starebbe mentendo: semplicemente non ricorderebbe più ciò che ha fatto.

Ma ci sono anche casi più recenti e meno noti: si pensi, tra gli altri, a quello di Wendy Timò, la bambina di appena 6 anni morta dopo essere precipitata dal nono piano di una palazzina di Ravenna insieme alla madre Giulia Lavatura e alla loro cagnolina: stando a quanto emerso finora, la donna, affetta da un grave disturbo psichico, avrebbe voluto morire insieme a lei per sfuggire a non ben determinate minacce.

Da un po’ rifiutava le cure che le erano state prescritte. Su Facebook, poco prima di compiere il gesto estremo, aveva pubblicato un post in cui accusava il marito e il padre, il papà e il nonno della bimba, di confabulare contro di lei: l’ipotesi è che fosse arrivata a distorcere la realtà e a sentirsi in pericolo.