Israele attacca Iran: la temuta risposta da parte dello Stato ebraico, dopo le azioni delle Repubblica Islamica lo scorso 13 aprile, è arrivata. Il destino della guerra nella Striscia di Gaza è sempre più incerto e l’estensione ad altri Paesi del Medio Oriente appare più concreto e inevitabile che mai.
Un loop di botta e risposta che il mondo stava cerando con ogni sforzo di evitare ma l’attacco all’ambasciata iraniana di Damasco, da parte di Israele, è stato la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Un vaso di Pandora, pronto ad esplodere e a trascinare le atrocità del conflitto oltre Gaza.
Le azioni contro la base militare di Esfahan, la metropoli situata nel cuore dell’Iran centrale, portate avanti da Israele alle prime luci dell’alba del 19 aprile, non avrebbero goduto dell’approvazione degli Stati Uniti. L’America continua ad esortare il premier Netanyahu ad “evitare l’escalation” del conflitto e non crede in una risposta repentina da parte di Teheran.
Per capire quale sia davvero la situazione in Israele e le conseguenze dell’ingresso dell’Iran in guerra, Tag24 ha intervistato Lion Udler, l’esperto di sicurezza e geopolitica di origini israeliane ed ex comandante in una unità speciale di antiterrorismo delle Forze di difesa israeliane (Idf).
Israele attacca Iran: qual è la situazione attuale nello Stato ebraico?
D: Qual è la situazione attuale in Israele? Come sta vivendo la popolazione in questo periodo, soprattutto dopo gli ultimi sviluppi della guerra nella Striscia di Gaza e gli attacchi da parte dell’Iran?
R: In Israele il conflitto va avanti da oltre sei mesi, è stato dichiarato lo stato di guerra. Ci sono circa centomila cittadini del sud e del nord del Paese che hanno dovuto evacuare le loro case. A sud alcuni sono già riusciti a tornare, perché le capacità terroristiche delle organizzazioni palestinesi a Gaza sono ormai ridotte. Il rischio c’è ancora, ma alcuni villaggi adiacenti alla striscia di Gaza sono tornati alla vita. Nella zona a nord dello Stato invece l’evacuazione dei cittadini è ancora in vigore.
I cittadini quindi sono stati evacuati da quelle città, da quei villaggi e non si prevede al momento un loro ritorno proprio perché la guerra continua. E continuerà finché non si arriverà agli obiettivi che il gabinetto di sicurezza ha definito.
D: Le immagini che vediamo da Gaza, tra distruzione e morte, raccontano la tragedia che sta mettendo in ginocchio la Striscia. La popolazione di Israele riesce a portare avanti una vita normale o è altrettanto dilaniata dal conflitto?
R: La maggioranza dei cittadini israeliani continua tutto sommato nella loro vita, perché nella gran parte del territorio dello Stato la guerra non c’è o c’è poco. Ogni tanto qualche razzo che può arrivare, ma la gente continua a lavorare, i bambini vanno a scuola, i posti di lavoro sono aperti. Il problema persiste a sud e a nord. Lì ovviamente è tutto chiuso, gli israeliani di questi posti sono rifugiati.
Nell’attacco dall’Iran che c’è stato qualche giorno fa, i cittadini israeliani sono stati informati quella notte ed invitati ad entrare nei rifugi, soprattutto nel sud, un po’ nel Golan nel nord, ma è stata una questione di minuti. A parte questo, la maggior parte dei cittadini continua quasi normalmente a vivere la propria vita.
Le zone più colpite sono i kibbutz a nord e sud di Israele, distrutti a partire dagli attacchi del 7 ottobre 2023. Sderòt, una città situata nel distretto meridionale, poco distante dalla Striscia di Gaza. Il governo israeliano proprio ieri o l’altro ieri ha approvato un progetto per ricostruire questi villaggi, vittime della distruzione portata avanti dai palestinesi.
E’ una questione che ovviamente andrà avanti per un po’ di tempo perché bisogna ricostruire tutto quello che è stato annientato e non sarà facile. Mentre nel nord la situazione è più grave al confine con il Libano, in villaggi come Hanita e la città di Kiryat Shmona. In queste zone la ricostruzione ancora non è stata messa in atto, dato che ancora imperversa la guerra.
Striscia di Gaza, l’ingresso dell’Iran nel conflitto: “C’è il regime di Khamenei dietro la guerra”
Lion Udler nel raccontare a Tag24 quale sia la situazione in Israele per via del conflitto nella Striscia, parla anche dello stato attuale in cui si trova Gaza:
“Ad oggi nella striscia di Gaza la guerra è già meno intensa, nel senso che la maggior parte degli obiettivi che si dovevano raggiungere sono già stati distrutti. Adesso ci sono molto meno attacchi aerei. L’esercito si è ritirato parzialmente, in preparazione per l’operazione prevista al valico di Rafah, che si trova al confine con l’Egitto”.
D: L’ingresso dell’Iran nel conflitto tra Israele e Gaza, quali conseguenze comporta a livello geopolitico? Quale significato ha l’attacco alla base militare di Esfahan?
R: L’Iran è lo Stato che si nasconde dietro a questa guerra. Le organizzazioni palestinesi non avrebbero avuto la capacità di effettuare quell’attacco del 7 ottobre da sole. Per anni hanno ricevuto centinaia di milioni di dollari dall’Iran, armamenti e non solo. Alcuni dei terroristi sono stati addestrati proprio in terra iraniana.
Tempo fa avevo anche pubblicato un filmato di un interrogatorio di uno dei militanti dell’organizzazione terroristica della Jihad Islamica che afferma di essere uscito dalla Striscia di Gaza con un gruppo di altri terroristi. Attraverso l’Egitto sono arrivati in Iran e sono stati addestrati in Iran dalle guardie rivoluzionarie per effettuare attacchi di quel tipo. Quindi sappiamo ad oggi dall’intelligence israeliana, dopo un bel po’ di interrogatori di terroristi che sono stati catturati durante la guerra a Gaza, che sono stati addestrati dall’Iran.
Quindi dietro a questa guerra c’è l’Iran, il conflitto non è iniziato solo per volontà dei palestinesi. Tant’è che subito dopo che hanno attaccato Israele, anche le milizie iraniane di Libano, Siria, Iraq e Yemen, si sono attivate contro Israele. Dietro a tutto questo c’è assolutamente l’Iran.
Per questo motivo in Siria, Israele ha eliminato circa 20 ufficiali iraniani, di cui l’ultimo, che si chiamava Muhammad Reza Zahedi, era il comandante delle milizie in Siria e in Libano. Ed è lui che c’era dietro agli attacchi dalla Siria e dal Libano a Israele e il giorno che quell’edificio adiacente all’ambasciata iraniana è stato colpito, c’era una riunione di ufficiali delle forze al Quds, delle guardie rivoluzionarie che progettavano come continuare con gli attacchi contro Israele.
L’Iran dopo quel colpo ha deciso di attaccare direttamente Israele: un cambio strategico per l’Iran perché fino a quel momento non ha mai agito direttamente contro Israele. Erano azioni di basso profilo e mai proveniente dal loro territorio.
D: L’attacco dell’Iran nasconde un intento di matrice culturale? E’ un’azione legata al mondo arabo e alla volontà di schierarsi contro la minaccia dell’Occidente?
R: Se parliamo dei paesi arabi sunniti la mossa iraniana è stata un errore strategico perché tra l’Iran, che ha maggioranza sunnita, e i paesi più o meno moderati arabi come l’Arabia Saudita, Emirati Arabi, Bahrain, Qatar, Kuwait, ci sono molte differenze. Questi Paesi hanno più paura dell’Iran che di Israele, perché con lo Stato ebraico non hanno mai avuto una vera guerra.
L’attacco del 7 ottobre è stato portato avanti in quella data, proprio perché qualche giorno prima il principe ereditario dell’Araba Saudita, Muqammad Bin Salman, in un’intervista aveva confermato che la normalizzazione dei rapporti con Israele è sempre più vicina. Quindi questo asse iraniano voleva bloccare un possibile avvicinamento del mondo arabo-sunnita con Israele.
Israele attacca Iran: la posizione degli Stati Uniti e il ruolo di Netanyahu
D: Gli Stati Uniti erano a conoscenza dell’attacco di Israele contro l’Iran? Tutte le esortazioni di Biden a non portare avanti il conflitto sono state ascoltate?
R: Gli Stati Uniti sono stati avvertiti dell’attacco che Israele ha effettuato contro l’Iran. Non sapevano esattamente quale sarebbe la puntata dell’azione avvenuta stanotte, però da Israele sapevano che non sarebbe stata di portata rilevante. Era più una sorta di messaggio di avvertimento agli iraniani, qualora decidessero di continuare gli attacchi.
Quell’attacco è stato portato avanti secondo le informazioni che sono accessibili dall’interno dell’Iran, quindi non è avvenuto un attacco esterno. Qualcuno in Iran ha usato piccoli droni che hanno ovviamente un raggio molto corto, quindi non poteva essere gestito da lontano. Quindi l’Iran, nonostante sia stato attaccato, può comunque dire di non avere la certezza che il responsabile sia stato Israele e di conseguenza, non ha l’obbligo di rispondere.
D: Com’è è visto il premier Benjamin Netanyahu in Israele? Il clima di proteste contro di lui continua? I cittadini sono d’accordo con il suo operato, soprattutto rispetto all’ingresso dell’Iran nel conflitto contro Gaza?
R: Le manifestazioni che ci sono adesso contro il premier non sono diverse dalle quell che c’erano anche prima del 7 ottobre. Si tratta delle stesse persone di sinistra, visto che Netanyahu è di destra, che continuano a chiedere le dimissioni del primo ministro di Israele per motivi politici.
Loro utilizzano i fatti del 7 ottobre e tutto quello che è successo dopo come pretesti per chiedere le sue dimissioni.
Non è la destra che è scesa in piazza per protestare contro Netanyahu. È normale in un paese democratico che ci siano proteste da parte delle opposizioni contro il governo. Non c’è nessuna novità in questo. Non è proprio previsto che ci siano le elezioni adesso in Israele. Si va al voto nel 2026. Il governo democraticamente eletto non deve cambiare il giorno dell’elezione solo perché i manifestanti dell’opposizione lo chiedono. Non funziona così in democrazia.