Erling Haaland è il nuovo che avanza. “Terminator”, questo il suo soprannome, ed è facile capire il perchè. D’altronde, a soli 23 anni, il colosso norvegese ha già messo a referto numeri da storia, che di tempo ne hanno ancora per essere aggiornati. Se c’è una rete, lui la gonfierà, c’è poco da fare, ha una capacità balistica senza pari, accompagnata da un comparto tecnico e atletico da far invidia anche al miglior Cristiano Ronaldo, che da questo punto di vista ne sa qualcosa.

La scalata del norvegese è stata netta: dalla madre patria al Salisburgo, per poi passare al Borussia Dortmund, fino ad arrivare al Manchester City, Erling sa parlare una solo lingua, quella del gol. In Germania furono 62 in 67 partite, ora in Inghilterra sono diventati ancor più pazzeschi, dato che il file è aggiornato a 83 gol in 92 presenze.

Numeri da cannibale d’area di rigore, ma che il punto debole ce l’ha eccome. E sono i big match. Appena si palesano, Haaland vede crollare le sue certezze, quel giocatore stile robot sente le giunture fare rumore, disperdendosi in mille pezzi in un mare di insicurezze. Sì, anche i robot piangono.

Haaland, i big match ti fanno soffrire

Troppi indizi fanno una prova, in questo caso di dubbi non ce ne sono: Erling Haaland non sa incidere nei grandi appuntamenti. Il doppio confronto contro il Real Madrid è stata la punta di un iceberg che si è andato a formare nel corso dei mesi. Perchè al netto dei gol a grappoli che il giocatore sta segnando in Premier League (20 reti in 26 apparizioni), è in Europa che il tallone d’Achille si materializza.

C’è poco da girarci intorno, appena il livello si alza, Erling scompare. Non tanto per quanto riguarda la competizione in se, dato che in Champions i suoi gol li ha sempre portati a casa. Il fatto è un altro, quando si arriva a giocare per qualcosa d’importante. In quella che è stata una finale anticipata a tutti gli effetti come Manchester City-Real Madrid, Haaland ha toppato tutti e due gli appuntamenti. Marcato a vista, senza libertà di respiro, il norvegese è arrivato al punto di incaponirsi con il suo consueto stile di gioco tanto da dimenticare di poter andare a cercare un piano B.

Il risultato è stato un’insufficienza piena all’andata e al ritorno, dove la sensazione è stata addirittura quella di un giocatore avulso dalla manovra totale. Anche perchè il dubbio è uscito fuori, ovvero di un tipo di gioco come quello di Guardiola, dove a penare possono essere di più gli attaccanti come il nordico biondo, che nel suo bagaglio culturale ha l’attacco della profondità.

Far sentire il suo peso agli avversari in una manovra dove gli scambi stretti la fanno da padrona è difficile, lo sottolinea il fatto che i gol del City siano arrivati, all’andata e al ritorno, da fuori area o da giocatori che nella vita non sono bomber.

Un finalizzatore poco bomber

E la differenza con questo concetto è ben netta. Un conto essere bomber, un altro essere un eccellente finalizzatore. Quest’ultimo tramuta in rete palloni sfruttando un gioco che risalti sopratutto le sue caratteristiche, ma il bomber trasforma in oro le occasioni, adattandosi alle difficoltà in cui potrebbe incappare.

Nei big match questi sono discorsi che valgono zero, li soffre e basta. Basta fare un salto indietro nel tempo per recuperare un altro esempio che calza a pennello con l’analisi su Haaland, ovvero la finale vinta dal Manchester City contro l’Inter ad Istanbul.

Una vittoria arrivata grazie alla botta di Rodri dalla distanza, in un match complicato per il City, dove fu l’Inter a fare la voce grossa. Quella di Haaland fu un piccolissimo accenno di voce, sparito dopo aver cestinato un occasione da gol nel primo tempo. Da lì, il nulla. Da quel momento sono cominciate le domande in merito a questa assenza ingiustificata, che con il passare del tempo sono diventate spiacevoli conferme.

Basti vedere il rapporto con le finali di Haaland: oltre a quella contro l’Inter, il giocatore non ha timbrato il cartellino in due finali di Community Shield (perse contro Liverpool ed Arsenal), in FA Cup contro il Manchester United (vinta), e nella vittoria in Supercoppa Europea contro il Siviglia. Che non mettono in discussione i gol a grappoli fatti fino ad ora, ma che inevitabilmente fanno pensare. Perchè un robot è sinonimo di perfezione. Ma ad oggi Erlin Haaland non sembra esserlo.