“Il dolore non si archivia” è lo slogan che accompagna la manifestazione indetta per sabato 20 aprile dai genitori di Alessandro Venturelli, scomparso oltre tre anni fa da Sassuolo. Sarà un’occasione per dire di “no” all’archiviazione del fascicolo d’inchiesta per sequestro di persona contro ignoti che riguarda il giovane, su cui il 30 aprile si deciderà in udienza. Ne abbiamo parlato con Roberta Carassai, che ha cercato il figlio “Alle” in lungo e in largo e che ora si sente abbandonata dalle istituzioni.

Scomparsa Alessandro Venturelli, verso la decisione sull’archiviazione: l’intervista alla mamma Roberta

La scomparsa

Per raccontare la storia di Alessandro dobbiamo tornare indietro al 5 dicembre del 2020, il giorno della sua scomparsa. Cosa ricorda di quella giornata?

“Tutto, perfettamente. Quel giorno Alessandro si alzò, venne in cucina – dove io e mio marito stavamo prendendo un caffè – e ci rivolse delle frasi, dure, che non aveva mai pronunciato prima. Tutto è iniziato così, inaspettatamente, senza una causa scatenante. Poco dopo uscì dicendoci che avrebbe accompagnato uno dei miei nipoti a tagliarsi i capelli; qualche ora più tardi, non vedendolo tornare, provai a chiamarlo, ma non rispose.

Quando mi richiamò mi disse che mi voleva bene e mi chiese scusa. Preoccupata, gi chiesi dove si trovava, promettendogli che avrei mandato il papà da lui. Roberto lo raggiunse e insieme tornarono a casa; io nel frattempo avevo preparato il pranzo, lui prese il suo piatto e andò a mangiare in camera, cosa che non aveva mai fatto. Per me era un periodo fisicamente molto impegnativo, perché avevo appena finito di fare la chemioterapia, quindi andai a riposare al piano superiore. Alessandro iniziò a comportarsi in modo strano, tenendo sotto controllo mio marito, che a sua volta teneva sotto controllo lui.

A un certo punto disse che sarebbe sceso in giardino a fumare una sigaretta e letteralmente si precipitò giù dalle scale. Mio marito seguendolo si accorse che in cortile c’era lo zainetto che portava sempre con sé: lo aveva buttato giù dal balcone della sua camera. Fece per afferrarlo, ma mio marito lo trattenne, portandolo dentro e proponendogli di fare un giro in macchina per parlare dell’accaduto. Quando salirono si rese conto, guardando lo specchietto, che il cane era uscito dal cancello e scese per recuperarlo. Quando tornò, il vuoto”.

Le indagini e il ruolo delle istituzioni

Più volte ha detto che nei giorni precedenti suo figlio era preoccupato, che addirittura aveva sentito il bisogno di dormire con lei. Come si spiega questi atteggiamenti? Pensa che abbiano a che fare con la sua scomparsa?

“Sicuramente hanno a che fare con la sua scomparsa. Una spiegazione, però, non sono ancora riuscita a darmela: è successo tutto troppo velocemente. Negli ultimi dieci giorni Alessandro aveva manifestato una forte paura, arrivando a chiedermi di stare attenta che nessuno mi facesse del male quando andavo in giro. Aveva bisogno di un continuo contatto fisico, di rassicurazioni. Io e mio marito abbiamo provato in tutti i modi a tranquillizzarlo e, nel non capire ciò che stava succedendo, lo avevamo portato anche da uno psicologo nella speranza che almeno con lui si aprisse. Poi è successo ciò che è successo”.

Il fascicolo d’inchiesta per sequestro di persona è stato aperto solo in un secondo momento; all’inizio si era indagato per allontanamento volontario. In questo modo è stato perso del tempo prezioso…

“Chi ha raccolto la denuncia è stato incapace di capire che non poteva trattarsi di un caso di allontanamento volontario nonostante gli avessimo fornito tutta una serie di indicazioni importantissime: avevamo parlato del vissuto di Alessandro, dei dieci giorni appena trascorsi, di ciò che era successo la mattina. È come se non abbiano voluto ascoltarci. Se ci penso, ancora adesso mi innervosisco: questo errore ha portato a quaranta mesi di silenzio assoluto, perché sappiamo bene che sono le ore immediate che fanno la differenza.

Qual è la logica della scelta di cercare un corpo dopo una settimana? Io non la trovo: è una cosa inconcepibile. A fronte di questo atteggiamento ho fatto una cosa che di solito non si fa, che è stata quella di telefonare in Procura e parlare con una Pm. È stata l’unica occasione – perché gli altri che l’hanno succeduta non mi hanno mai più ricevuta -, ma è stato come parlare con un pezzo di ghiaccio. Di certo qualcuno ha sbagliato, il conto lo stiamo pagando io e mio marito. Loro addirittura si sentono autorizzati a chiudere il caso”.

Con suo marito avete cercato Alessandro ovunque, sia in Italia che all’estero – dove qualcuno lo avrebbe avvistato -, autonomamente. Come mi ha confermato, vi siete sentiti abbandonati…

“Io e mio marito ci sentiamo assolutamente abbandonati dalle nostre istituzioni, che avrebbero il compito di affrontare il problema scomparse. La sensazione è che non le affrontino, che chiudano le porte, non accettando confronti. Le uniche persone che salviamo, e per cui avremo sempre parole positive, sono gli agenti della squadra mobile di Modena, perché hanno fatto tutto ciò che potevano. Purtroppo c’è qualcosa che non dipende da loro”.

La manifestazione contro l’archiviazione del caso

La manifestazione indetta per sabato 20 aprile servirà a riflettere su questo e altri temi e a dire di “no” all’archiviazione del caso. Qual è il messaggio che spera di veicolare e cosa si augura che succeda il 30 di aprile, giorno dell’udienza in cui si deciderà se andare avanti con le indagini?

“Mi auguro che il fascicolo non venga archiviato, ma soprattutto mi auguro che da quel giorno vengano poi verificate tutte le situazioni che in qualche modo sono rimaste in sospeso. Mi auguro anche che dal 30 aprile Alessandro venga cercato con tutti gli strumenti che si hanno a disposizione: non so quali siano questi strumenti e cosa si possa fare nello specifico – questo me lo devono dire loro –, ma devono tirarlo fuori. Da più di un anno con i miei avvocati chiediamo un ordine di indagine europeo, ad esempio.

La manifestazione l’ho voluta io. L’ho organizzata dall’inizio alla fine con un dispendio di energie indescrivibile. Vorrei far passare questo messaggio: che tutti i casi di scomparsa, e non solo quello di Alessandro, non dovrebbero mai essere archiviati. E vorrei anche che venisse eliminato l’allontanamento volontario: bisogna partire dal presupposto che una persona che si allontana e scompare è sicuramente in una situazione di crisi, perché altrimenti non lo farebbe”.

E se potesse far arrivare un messaggio a suo figlio, quale sarebbe?

“Il messaggio che vorrei che gli arrivasse è che non è successo niente di irrimediabile, che l’ultimo sentimento che io e suo padre proviamo è di rabbia nei suoi confronti. Alla fine di tutto questo sarò sempre, comunque, orgogliosa di lui. Sono convinta che Alessandro sia impossibilitato a tornare. Sicuramente c’è qualcuno che sa qualcosa ed è ora che in qualche modo si faccia avanti”.