Sciopero della fame contro l’occupazione israeliana in Palestina e contro gli accordi di ricerca tra le università israeliane e quelle italiane. Questa è l’azione dimostrativa portata avanti dagli studenti dell’Università La Sapienza di Roma dopo gli scontri avvenuti nella giornata di ieri con le forze dell’ordine fuori dall’ateneo.
Diverse persone sono state arrestate ieri e tornate libere dopo la decisione del giudice per direttissime. Una 28enne presente ieri in piazza è stata accusata di resistenza a pubblico ufficiale e lesioni. Non sono mancate le proteste anche fuori dal Tribunale.
Sciopero della fame a La Sapienza di Roma
L’azione degli studenti pro palestinesi non si ferma. Un gruppo di ragazzi si è incatenato fuori dal Rettorato ed ha iniziato uno sciopero della fame. L’appello lanciato da uno degli studenti presenti è rivolto “a tutti i democratici e i pacifisti del nostro Paese“:
“Il nostro Paese non è ancora disposto ad adoperarsi per costruire le condizioni per la pace, ma non c’è più tempo. Siamo incatenati e in sciopero della fame davanti al rettorato della Sapienza perché è dal cuore della più grande università d’Europa che ottenere un passo indietro da chi è complice di un genocidio, può produrre un importante cambiamento”
Il commento sugli scontri con la polizia
Quello di oggi è un passo in avanti dopo gli scontri registratisi ieri tra la polizia e i manifestanti vicino all’ateneo. La studentessa spiega alla stampa che è necessario che l’Italia democratica e pacifista si esprima su quanto accaduto ieri definendo ‘inaccettabili’ le modalità adottate dalle forze dell’ordine. Inaccettabili, spiega la studentessa, sono anche le risposte date dall’Ateneo praticamente inesistenti.
Un altro studente presente al flashmob fuori dal Rettorato spiega che questo è il suo primo sciopero della fame dicendo che si tratta di una risposta ad un ateneo che non vuole ascoltare i propri studenti a priori. Infine su una domanda riguardo al supporto ad una causa spesso additata di discriminare le donne gli studenti rispondono così:
Si parla di questioni religiose che evadono il problema concreto che c’è in questo momento: un genocidio in corso. Si tratta di una strumentalizzazione, anche la religione cattolica ha divisioni di sesso al suo interno. Queste cose con la protesta non c’entrano nulla.