Nel contesto normativo italiano, l’articolo 30 della legge n. 724 del 1994 stabilisce criteri specifici per identificare le cosiddette società non operative. Questo status influisce significativamente sulle imprese immobiliari, specialmente in fasi economiche sfavorevoli, dove il mercato immobiliare può subire notevoli oscillazioni. Questa normativa è particolarmente pertinente per le società che possiedono e gestiscono asset immobiliari, come i centri commerciali, e si trovano a navigare tra le sfide di mantenere un flusso costante di locazioni attive e profittevoli.

Esenzioni società non operative nel settore immobiliare: cosa succede in caso di crisi

Il caso preso in esame dall’Agenzia delle Entrate, vede al centro una società immobiliare, che gestisce un centro commerciale situato in una zona commerciale periferica, la quale ha affrontato sfide significative nel periodo d’imposta dal 2021 al 2022. La struttura è composta da diverse unità immobiliari destinate alla vendita e al tempo libero, molte delle quali sono rimaste sfitte a causa delle avverse condizioni economiche scaturite dalla pandemia COVID-19 e da altre crisi globali quali l’aumento dell’inflazione e le tensioni internazionali.

Il centro in questione presenta diverse unità con ingressi indipendenti, tutte volte a servire vari segmenti di mercato, da negozi a spazi per attività ricreative. Nonostante gli sforzi della proprietà di attrarre nuovi inquilini, tra cui il miglioramento delle infrastrutture e delle campagne promozionali, un numero significativo di unità è rimasto vuoto. Questa situazione ha impedito alla società di superare il “test di operatività“, essenziale per evitare la classificazione come società non operativa.

La crisi durante la pandemia

Il valore di mercato degli immobili di questa società ha subito una drastica diminuzione rispetto al costo storico, influenzando così il calcolo del reddito minimo imponibile e sollevando questioni sulla realisticità delle valutazioni fiscali basate su valutazioni obsoleti. In aggiunta, la pandemia ha limitato le possibilità di mostrare gli spazi disponibili agli interessati, aggravando ulteriormente la situazione di stallo nel mercato delle locazioni.

Il valore di mercato dell’immobile è dunque risultato significativamente inferiore al suo costo storico, influenzando negativamente la determinazione fiscale del reddito minimo presunto. La società ha argomentato che questa discrepanza ha reso la tassazione non solo ingiusta, ma anche non rappresentativa della realtà economica del settore immobiliare, aggravata da congiunture economiche globali come la pandemia e altre crisi economiche.

La società ha prodotto documentazione dettagliata in risposta a una richiesta dell’ente fiscale, sostenendo la necessità di una disapplicazione delle norme sulle società non operative e ha argomentato che le circostanze eccezionali e le oggettive situazioni avverse avrebbero dovuto permettere un’eccezione dalla normativa che penalizza le società con elevati spazi non locati.

Panoramica normativa sulle società non operative: cosa dice la legge

L’articolo 30 della legge n. 724 del 1994 stabilisce un regime di tassazione specifico per le società definite come “non operative” o “di comodo“. Secondo questa normativa, le società di diverse forme giuridiche, inclusi enti non residenti con stabilimenti in Italia, devono sottostare a particolari obblighi fiscali se non raggiungono i ricavi minimi presunti. Questi ricavi sono calcolati basandosi su una formula che include ricavi effettivi, incrementi di rimanenze e proventi ordinari.

La legge prevede che, se i ricavi totali di una società sono inferiori a quelli minimi stimati, quest’ultima deve dichiarare un reddito minimo presunto. Questo è calcolato applicando percentuali forfettarie ai valori di certi beni posseduti. In presenza di circostanze che impediscono il raggiungimento di questi ricavi, la società può richiedere un’eccezione tramite un interpello, mostrando prove di situazioni straordinarie che hanno ostacolato la generazione di ricavi adeguati.

L’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate

L’Agenzia delle Entrate ha esaminato la richiesta, rifiutando di accoglierla. La motivazione principale è stata l’insufficienza delle prove fornite dalla società per giustificare una disapplicazione del regime fiscale. È stato sottolineato che la società non ha dimostrato in modo concreto come il calo del valore di mercato dell’immobile abbia effettivamente impedito il raggiungimento dei ricavi presunti.