Grassofobia e body shaming sui social sono fenomeni che stanno dilagano in Italia, verso una deriva tutt’altro che rassicurante. Con quanta frequenza si notano commenti pieni di insulti, offese, cattiverie gratuite sotto le foto o i video di qualcuno, famoso o no: le discriminazioni legate al fisico e al peso non fanno sconti a nessuno. La situazione è degenerata al punto di produrre un vero e proprio stigma nella società di oggi.

Il risultato è quello di creare una sistematica discriminazione delle persone grasse o che semplicemente non hanno un fisico che rientri nelle forme “standard” dei modelli – inarrivabili e malsani – imposti negli ultimi anni dalle copertine e dai social. Si assiste così ad una progressiva esclusione di queste persone nel mondo del lavoro, nella scuola, nella rappresentazione dei media e in tanti altri aspetti della vita quotidiana.

Tag24 ha voluto approfondire questa tematica, analizzando nel dettaglio la situazione con un’esperta, la dottoressa Sara Olivieri, la dietista conosciuta su Instagram come “Inizio lunedì”. Con un profilo che vanta oltre 72mila followers, la dottoressa spiega con ironia e naturalezza, apportando sulla piattaforma le sue competenze tecniche, come “sconfiggere il frigorifero e fare amicizia con lo specchio”.

Cos’è la grassofobia?

D: Che cos’è la grassofobia? E’ una parola di cui si parla molto di recente, soprattutto sui social. Può spiegarci in cosa consiste?

R: Diciamo che è una parola anche abbastanza nuova. Letteralmente vorrebbe dire avere paura – poi non è una vera paura – è più un un’ossessione, un comportamento stigmatizzato verso un pregiudizio, un mix di queste sensazioni, legate alla figura del corpo grasso. Che sia il proprio o quello degli altri, un corpo che non è conforme ai cosiddetti “modelli”. 

Non è di per sé una paura quindi. La grassofobia prescinde da un discorso solamente legato al peso o alla forma, perché il peso non sempre è visibile ad occhio nudo quando è in eccesso, alcune volte sì, altre meno.

Se stiamo parlando di chilogrammi, e non di un discorso legato alla composizione, perché si può avere una figura “normo” pur avendo una composizione fortemente sbilanciata, come ad esempio nella massa grassa o quella magra. E’ un problema molto interiorizzato quello della grassofobia, sia a livello personale che sociale, ci raccontiamo sempre la storia che il grasso è male, che grasso vuole dire “non è in salute”, che il grasso è troppo, che il grasso è pigro, non è idoneo.

Non siamo abituati a pensare che possa esserci altro dietro – e lo dicono diversi studi alla mano – una critica rivolta ad un passante, che magari ha visibilmente un peso in eccesso, per cui potremmo ipotizzare una situazione di sovrappeso o di obesità anche solo a occhio. Diamo troppe cose per scontato, non ci soffermiamo sul resto, su quelle che possono essere altre parti di una storia.

Perché la grassofobia è uno stigma nella società? Le discriminazioni nel mondo del lavoro

D: Spesso, nel mondo del lavoro, le aziende quando ricevono curricula si soffermano sulla foto del candidato/a e si lasciano influenzare dall’aspetto fisico di una persona. O capita di rivolgersi ad un professionista, come nel suo caso ad una dietista, e si guarda alla forma di quella persona. Sui social lei stessa ha scritto che qualcuno le ha rivolto questa frase: “io da te non ci verrei mai, perché se fai la dietista devi essere magra e non mi sembri tanto in forma”. Perché la grassofobia è uno stigma?

R: Partendo proprio dal significato di stigma, questo assume il senso di “marchio”, “bollatura”. In antichità era un segno che si apponeva sul corpo degli schiavi, per mostrare la categoria di appartenenza. E questo è il senso di uno stigma nella società oggi, che può legarsi al peso, al colore della pelle, all’orientamento sessuale, alla disabilità. Non significa altro che prendere una caratteristica, spesso visibile o facilmente ipotizzabile, ed estremizzarla. Così si viene inseriti in una categoria, spesso con valenza negativa e discriminatoria.

Per quanto riguarda lo stigma nel mondo del lavoro è vero, infatti ci sono delle aziende, soprattutto nel nord Europa, che hanno iniziato a fare i colloqui di lavoro da remoto a telecamera spenta. In tal modo si possono giudicare le competenze di qualcuno senza il rischio di essere minimamente condizionati – nemmeno inconsapevolmente – dalla forma fisica visibile.

Nelle persone di recente sembra ci sia una tendenza a provare una sensazione che spinge a riconoscere un ruolo di autorevolezza in chi abbiamo davanti, che può essere un dottore, un genitore: tutti sembra quasi che debbano darci l’esempio. In realtà non è così. Se prendiamo i profili professionali, parlo del mio – quello dei dietisti e dei nutrizionisti – ma in generale anche dei medici, degli psicoterapeuti, non ci sono regole scritte che dicono come un professionista debba essere. Quello che importa sono le loro azioni, le competenze richieste per il ruolo e la loro professione.

Ci si rivolge ad professionista per ottenere dei risultati, dei miglioramenti, per cambiare se stessi. Quindi questo traslare i propri bisogni sugli altri serve più a distogliere l’attenzione da quello che si sta cercando di fare. Che un nutrizionista debba essere in perfetta forma fisica non è previsto da nessuna parte. Poi ovviamente entrano in gioco le scelte, le preferenze che corrispondono alle proprie esigenze ed esperienze.

D: E’ rimasta scossa dal ricevere commenti di questo tipo? Si è sentita sminuita come professionista?

R: Mi sento avvantaggiata rispetto ad episodi simili perché conosco molto bene l’argomento, sia perché personalmente non mi sento toccata. Non ho mai sentito la necessità, per esperienza personale, di dover giustificare la mia forma fisica, il mio corpo, le mie forme, che non sono state sempre uguali nel tempo e non lo saranno. Quindi già accettando e capendo questo secondo me siamo un passo avanti.

Social tra grassofobia e body shaming: “Dietro le foto ci sono persone vere, bisogna fare attenzione”

Sul dilagare della grassofobia e di fenomeni legati al body shaming sui social, la dottoressa Olivieri ha detto:

“Dai social vediamo solo quello che le persone decidono di pubblicare e così danno un parere su quello che vedono. Ci facciamo una piccola idea di quello che accade nella vita di una persona. Le persone danno un parere a occhio su quello che può sembrare un corpo, una forma fisica, un peso idoneo o meno, adeguato o meno, solo sulla base di quello che vedono. Serve maggiore prudenza e attenzione nella comunicazione con l’altro”.

E sulla inarrestabile diffusione di fenomeni legati al body shaming e alla discriminazione sui social:

I social hanno fortemente amplificato delle situazioni che già esistevano già, una tendenza a categorizzare le persone, ad escluderne altre, a mettere chi ha una determinata forma fisica nelle vesti di un certo personaggio, trattandolo come se fosse una la caricatura. Pensiamo ad una persona affetta da nanismo, o la bella ragazza che diventa una “strega” ad esempio. Questo succedeva anche prima, anche fuori dai social. Pensiamo ad una persona in sovrappeso che magari all’interno di un gruppo veniva chiamato col soprannome x.

I social hanno amplificato la possibilità di esprimersi senza filtri, senza pensarci, senza porsi il problema che spesso dietro a una foto, a un video c’è un’altra persona vera. La salute della persona non la fa il suo peso. Il valore di una persona non si misura sulla bilancia con i chilogrammi. E questo non significa promuovere stili di vita sbagliati, non voglio essere fraintesa. Ma il valore come essere umano non viene definito da una bilancia. Serve una maggiore attenzione all’educazione all’affettività e alle modalità di interazione con gli altri”.