Entro il 2034, l’Italia si troverà ad affrontare una significativa riduzione della sua forza lavoro, con una diminuzione prevista di tre milioni di lavoratori in età attiva (15-64 anni). Questo trend di declino lavorativo è il risultato diretto dell’invecchiamento della popolazione e di tassi di natalità in calo, che influenzano l’equilibrio demografico e la dinamica economica del paese. Ecco cosa rivelano le previsioni dell’Ufficio Studi della Cgia di Mestre che ha analizzato le stime demografiche dell’ISTAT nelle 107 province italiane.

Analisi regionale del declino lavorativo

La situazione è particolarmente grave in alcune aree, con un impatto disomogeneo tra le diverse regioni italiane. Mentre il Sud potrebbe mostrare segni di resilienza grazie alla possibilità di riempire alcuni vuoti nei settori agroalimentare e ricettivo, il Nord, tradizionalmente più industrializzato, potrebbe subire contrazioni più marcate.

Allo stesso tempo, c’è anche da precisare che il declino della forza lavoro sarà più accentuato nel Sud Italia, con regioni come Basilicata, Sardegna e Sicilia che vedranno le maggiori riduzioni percentuali di lavoratori.

Di tutte le 107 province italiane monitorate, solo Prato prevede un incremento della forza lavoro.

Declino lavorativo: le conseguenze economiche del crollo demografico

Il ridimensionamento della forza lavoro non solo pone sfide dirette al mercato del lavoro, ma ha anche ripercussioni più ampie sull’economia italiana. Si prevede una diminuzione del prodotto interno lordo (PIL) accompagnata da un aumento delle spese in ambito previdenziale, sanitario e assistenziale. Questo cambio demografico porterà anche a uno spostamento nei pattern di consumo e investimento, influenzando settori come l’immobiliare, i trasporti, la moda e il settore HoReCa (Hotel, Ristorazione e Caffè). Al contrario, le banche potrebbero beneficiare di un aumento del risparmio da parte degli anziani, modificando così la dinamica economica generale del paese.

Declino demografico: sfide e opportunità

Il principale ostacolo è rappresentato dal mancato ricambio generazionale. L’avvicinarsi alla pensione di un numero elevato di lavoratori senza che vi sia un adeguato numero di giovani pronti a sostituirli, crea un vuoto occupazionale difficile da colmare. Inoltre, il problema viene acuito dalla mancanza di competenze specializzate in settori chiave come quello tecnologico e quello green, essenziali per la transizione energetica e digitale.

Se da un lato il declino demografico presenta sfide, dall’altro offre l’opportunità di riformare e modernizzare il mercato del lavoro. L’introduzione di politiche incentrate sull’innovazione e sulla formazione può attrarre talenti e competenze anche dall’estero, contribuendo a colmare il gap lavorativo e a rilanciare l’economia.

Impatti sulle PMI e differenze con le grandi imprese

Le PMI si trovano di fronte a sfide maggiori rispetto alle grandi aziende nel reclutamento di personale. Mentre le grandi aziende possono attrarre talenti con salari più alti, orari flessibili e pacchetti di welfare aziendale, le PMI spesso lottano per competere su questi fronti. Di conseguenza, i giovani lavoratori tendono a preferire le opportunità offerte dalle grandi corporazioni, lasciando le PMI a confrontarsi con un pool di talenti ridotto e meno accessibile.

Dati e previsioni per il mercato del lavoro

Secondo il Bollettino del Sistema informativo Excelsior, sono previsti oltre 446 mila contratti di assunzione a breve termine, con un leggero incremento rispetto all’anno precedente. Tuttavia, si prevede una diminuzione del 3% nei contratti per il trimestre successivo. Le difficoltà nel reperimento di personale qualificato rimangono un problema critico, con settori come l’ingegneria e le tecnologie dell’informazione che mostrano i tassi più alti di posti vacanti difficili da colmare.

Declino lavorativo: i profili professionali di più difficile reperimento

Di seguito l’elenco dei profili professionali più complicati da reperire:

  • Fabbri costruttori di utensili;
  • Operai specializzati del tessile- abbigliamento;
  • Tecnici in campo ingegneristico;
  • Tecnici della gestione dei processi produttivi di beni e servizi;
  • Ingegneri;
  • Operai alle macchine automatiche e semi-automatiche per lavorazioni metalliche;
  • Analisti e specialisti nella progettazione di applicazioni;
  • Operatori per la cura estetica;
  • Professionisti qualificati nei servizi sanitari e sociali;
  • Addetti gli sportelli.

Declino lavorativo: la situazione in ogni Regione

Di seguito l’elenco delle Regioni che subiranno le maggiori perdite di forza lavoro nei prossimi dieci anni secondo le proiezioni:

REGIONECONTRAZIONE FORZA LAVORORIDUZIONE NUMERO LAVORATORI
Basilicata-14,6%-49.466
Sardegna-14,2%-110.999
Sicilia-12,8%-392.873
Calabria-12,7%-149.979
Molise-12,7%-22.980
Marche-12,39%-119.327
Puglia-12,25%-303.400
Campania-11,51%-420.934
Abruzzo-10,12%-80.408
Valle d’Aosta-9,54%-7.371
Piemonte-8,93%-237.818
Umbria-8,85%-46.500
Liguria-7,12%-64.754
Veneto-7,12%-219.014
Friuli Venezia Giulia-6,82%-50.195
Lazio-6,75%-247.748
Toscana-6,49%-149.104
Lombardia-3,4%-218.678
Trentino Alto Adige-3,1%-21.368
Emilia Romagna-2,6%-71.665

La situazione nelle Province

Di seguito le 10 province dove la contrazione sarà più marcata:

  1. Agrigento: -22,08%
  2. Ascoli Piceno: -19,56%
  3. Caltanissetta: -17,89%
  4. Enna: -17,71%  
  5. Alessandria: -17,70%
  6. Nuoro: -17,63%
  7. Sud Sardegna: -17,53%
  8. Oristano: -16,97%
  9. Potenza: -16,90%
  10. Asti: -16,67%

Nella tabella che segue, invece, le province che subiranno un’emorragia di lavoratori meno pesante. Solo una provincia con il segno +: è quella di Prato.

  1. Prato: +0,75%
  2. Parma: -0,30%
  3. Bologna: -1,08%
  4. Milano: -1,99%
  5. Modena: -2,14%
  6. Piacenza: -2,45%
  7. Mantova: -2,74%
  8. Lodi: -2,97%
  9. Trento: -3,07%
  10. Forlì – Cesena: -3,07%