L’Europa del Nord non è un posto molto accogliente, per i minatori di Bitcoin. Se le condizioni economiche sono molto favorevoli, per chi deve impiantare una mining farm, non altrettanto lo è l’atteggiamento della politica locale, risolutamente ostile ad un’attività vista alla stregua di un attentato all’ambiente.
Se negli anni passati era stato il governo svedese a proporsi come irriducibile avversario dell’attività di estrazione dei blocchi per la blockchain di BTC, ora è invece Oslo a minacciare il bando della stessa dal proprio territorio. Andiamo a vedere, quindi, cosa stia accadendo nella parte settentrionale del vecchio continente.
Mining di Bitcoin: la Norvegia si appresta a bandirlo?
La Norvegia sarebbe intenzionata a bandire il mining di Bitcoin dal proprio territorio. Almeno questo è quanto afferma il quotidiano VG, includendo a sostegno della propria tesi i commenti rilasciati sulla questione dal ministro della digitalizzazione, Karianne Tung, e da quello dell’energia, Terje Aasland.
Il grimaldello attraverso il quale si potrebbe conseguire tale risultato, perseguito ormai da tempo dal governo di Oslo, è l’imposizione della registrazione a tutti i data center operanti sul territorio norvegese. Ognuna delle strutture in questione, inoltre, sarebbe obbligata a designare un responsabile e, soprattutto, provvedere all’indicazione chiara della tipologia dei dati trattati e delle operazioni effettuate al proprio interno.
Una volta che i data center avranno ottemperato agli obblighi in questione, sarà più facile per le autorità preposte individuare quelli che operano nel mining di Bitcoin e, nel caso, espellerli dal Paese nordico. Lo ha spiegato in maniera molto chiara proprio Karianne Tung: “Proporremo una legge che regolerà l’industria dei data center per la prima volta […] La Norvegia sarà il primo paese in Europa a introdurre una regolamentazione dei data center. […] L’obiettivo è quello di regolare l’industria in modo da permetterci di chiudere le porte ai progetti che non vogliamo.”
E tra quelli non desiderati, c’è proprio il mining, come del resto spiegato da Terje Aasland: “È associato a emissioni importanti di gas serra ed è un esempio di business che non vogliamo in Norvegia.” Il solco sembra dunque tracciato.
Mining: quanto ne viene condotto in Norvegia?
Naturalmente, occorre anche cercare di capire quale sia la quantità di mining portata avanti nel Paese nordico. Secondo i dati relativi all’inizio del 2023, che sono stati pubblicati da Hashrate Index di Jaran Mellerud, il dato norvegese si attesterebbe a poco meno del 3% dell’hashrate globale. Si tratta di un dato che, pur non enorme, ha comunque ampie ricadute sul sistema energetico locale.
I gruppi che hanno scelto il Mare del Nord per la propria produzione mineraria, sono Bitfury, Bitzero, Bitdeer, COWA, Kryptovault e Arcane. Nel caso in cui l’orientamento del governo norvegese non dovesse mutare, ognuno di loro dovrà trovarsi nuovi Paesi verso i quali far convergere la propria forza lavoro e i relativi siti.
Considerato come ormai da anni la Norvegia mostri un atteggiamento non proprio benevolo verso il mining di Bitcoin, dovranno probabilmente iniziare a farlo subito. E, soprattutto, trovarsi aree geografiche diverse dal Nord Europa, ove tale atteggiamento è largamente condiviso.
In Svezia e Islanda il mining potrebbe presto essere bandito
La parte superiore del vecchio continente sembra ormai unificata dalla scarsa pazienza nei confronti dell’industria mineraria. Basti pensare in tal senso alla Svezia, che ormai da anni sta cercando di tessere alleanze per il bando definitivo del mining Proof-of-Work. Tanto da cercare di inserirlo nella discussione relativa al MiCA (Markets in Crypto Assets), senza però riuscire nell’intento.
Mentre l’Islanda, proprio di recente, ha espresso la propria intenzione di stoppare la fornitura di energia elettrica alle mining farm. Una decisione derivante in particolare dalla constatazione che la stessa inizia a scarseggiare, rendendo obbligatorio tagliarla ove non serve a famiglie e imprese realmente utili alla collettività. Un proposito che è stato reso pubblico dal primo ministro Katrín Jakobsdóttir.
Non sembra arduo pensare che ben presto l’intero Nord Europa possa chiudere al mining condotto con macchinari energivori, ovvero quello Proof-of-Work. Riducendo ulteriormente le aree ancora aperte a questo genere di attività.
Quanta ignoranza da parte di questo ministro. Il mining NON emette gas serra e non inquina per un semplice fatto evidente anche a chi non sa nulla di informatica: i computer non hanno tubo di scappamento né motore a scoppio, perché non funzionano a benzina ma a elettricità. La domanda quindi dovrebbe essere: come viene prodotta questa elettricità? E da quelle parti il rinnovabile è molto diffuso, anzi è proprio grazie al fatto che l’energia rinnovabile viene prodotta in eccesso e che l’eccesso se non lo usi subito lo butti via che è particolarmente efficiente il mining in prossimità delle centrali idroelettriche o geotermiche, senza parlare del fatto che stabilizza la rete elettrica fungendo da volano energetico e riducendo i costi manutentivi e la bolletta dei cittadini, oltre che può essere spento all’istante quando c’è bisogno di più corrente per altri scopi. Propaganda di bassissimo livello