Per Alessia Pifferi il pubblico ministero Francesco De Tommasi ha chiesto il massimo della pena, l’ergastolo: stando alla sua ricostruzione, la 38enne, finita a processo con l’accusa di omicidio volontario aggravato, agì consapevolmente dopo aver premeditato ciò che stava facendo per “divertirsi e avere i suoi spazi in vacanza” quando, nel luglio del 2022, lasciò la figlia di appena 18 mesi da sola in casa per sei giorni, facendola morire di fame e sete “dopo sofferenze atroci e terribili”.
L’avvocato Alessia Pontenani, che la assiste, pensa che non sia così: che la donna, giudicata “pienamente capace di intendere e di volere” dal perito Elvezio Pirfo, abbia in realtà delle “turbe psichiche” e dei “deficit cognitivi” che non le consentirebbero di essere pienamente cosciente della realtà dei fatti. Lo ha dichiarato a Cusano Italia Tv rispondendo alle domande dei giornalisti Fabio Camillacci e Gabriele Raho, facendo riferimento, in particolare, ai documenti sul suo passato medico raccolti nell’ambito delle indagini difensive, acquisiti dalla Corte (che ha comunque rigettato la richiesta di un’integrazione della perizia) nel corso dell’ultima udienza del processo. La prossima è in programma per il 13 maggio. Poi sarà emessa la sentenza.
Il pm chiede l’ergastolo per Alessia Pifferi: il commento del suo avvocato su Cusano Italia Tv
Sulla richiesta del massimo della pena
“La perizia del dottor Pirfo, che ha riconosciuto Alessia pienamente capace di intendere e di volere, è stata falsata, dal mio punto di vista, non solo dall’indagine in corso (sull’avvocato di Pifferi e su due psicologhe del San Vittore che la visitarono, ndr), partita praticamente ‘in contemporanea’, ma anche dal fatto che, come tutti gli altri consulenti di parte, Pirfo non ha potuto valutare la documentazione che ho prodotto, da cui risulta, praticamente, che la mia assistita è una bambina”, ha dichiarato l’avvocato Pontenani a “Crimini e criminologia”.
“Tale documentazione – ha aggiunto – è stata acquisita e la Corte, a prescindere dalla perizia, potrebbe anche decidere di valutarla. Vedremo cosa succederà a maggio, non voglio essere né troppo ottimista, né troppo pessimista: secondo me Alessia non voleva uccidere la bambina. L’ha lasciata morire e su questo siamo tutti d’accordo, ma è diverso. Bisogna fare una distinzione tra l’azione e l’omissione: Alessia non può rendersi conto della differenza. Dice di non aver ucciso Diana perché non le ha fatto del male. Continua a ripetere che era convinta che il famoso biberon con il latte che aveva lasciato uscendo di casa fosse sufficiente a farla sopravvivere”.
Sui presunti problemi psichici dell’imputata
A differenza del pm De Tommasi, il legale ritiene quindi che l’imputata non avesse premeditato la morte della bambina: che abbia agito da incosciente a causa dei problemi psichici di cui soffrirebbe fin da piccola, come emerso, appunto, dai documenti sul suo passato medico che ha da poco raccolto e presentato ai giudici. Punterà, di conseguenza, al solo riconoscimento “dell’abbandono di minore con morte“. “Il pubblico ministero (nella sua requisitoria, ndr) ha parlato solo ed esclusivamente di quella settimana (quella in cui la piccola Diana morì, ndr)”, ha spiegato.
“Secondo me una persona andrebbe invece valutata in toto e non solo per il reato che ha commesso. Bisognerebbe ricostruire la sua storia. Alessia da ragazzina è stata abbandonata a sé stessa nonostante avesse turbe psichiche e deficit cognitivi; è stata cresciuta dai nonni e poi dalla sorella – perché la madre e il padre erano sempre a lavoro -, abusata sessualmente da una persona che ora non c’è più e si è poi sposata con un uomo molto più grande di lei. Non sapeva nemmeno di essere rimasta incinta“.
“Andava aiutata, non andava lasciata da sola con la bambina. Questo è il risultato”, ha concluso, mettendo in evidenza il fatto che se davvero la sua assistita avesse voluto uccidere la figlia avrebbe potuto farlo in tanti altri modi per poi abbandonare il suo corpicino senza che nessuno se ne accorgesse, visto che Diana, a tutti gli effetti, era “una bambina invisibile“, senza “pediatra” e senza “tessera sanitaria”, con “una famiglia d’origine che si disinteressava completamente sia a lei che alla madre”.