Pensioni, dal 2025 stop alle formule anticipate. E salta nuovamente la quota 41 dei lavoratori che hanno iniziato a lavorare in età precoce. Leggendo il Documento di economia e finanza (Def) approvato in settimana, quello di un taglio dei meccanismi di uscita anticipata sembrerebbe essere il passaggio più certo del documento programmatico.
Anche perché il Def, che non contiene promesse elettorali ma andamenti di conti pubblici e misure, non contempla nuovi meccanismi di uscita anticipata, ma dati allarmanti nel capitolo delle spese per le pensioni. L’analisi è impietosa: nel 2024 la spesa previdenziale comporterà un esborso di 337,4 miliardi di euro. Ma nei prossimi anni andrà anche peggio.
Pensioni 2025 stop anticipate, ecco perché
La previsione più certa che si può fare sul fronte delle pensioni del 2025 è quella di uno stop delle formule di anticipo. Già la legge di Bilancio 2024 aveva riservato tagli e strette alle formule di pensionamento anticipato alternative rispetto a quelle previste dalla riforma Fornero. La quota 103, l’opzione donna e l’Ape sociale sono stati ridimensionate e gli stessi lavoratori in uscita sono chiamati a “contribuire” alla loro sostenibilità accettando il ricalcolo della pensione con il sistema contributivo puro, più penalizzante rispetto al meccanismo misto o retributivo.
Il governo aveva previsto una legge organica di revisione delle formule di pensionamento durante l’anno 2024 con obiettivo di riforma per il 2025. Finora non c’è stato alcun aggiornamento, anche sul fronte dei tavoli di confronto al ministero del Lavoro con i sindacati.
Tutto lascia presagire, dunque, l’ipotesi più ovvia. Ovvero quella di uno stop a misure ponte di pensionamento anticipato. Strumenti che, a leggere i dati del Documento di economia e finanza (Def), hanno dato il loro contributo a far crescere la spesa delle pensioni. A partire da quota 100, ma anche prima con le misure precedenti, dal momento che gli anni pre-pandemia hanno visto la crescita della spesa a livelli più alti del periodo pre-riforma Fornero.
Pensioni 2025 stop anticipate, il peso delle quote
Le pensioni a quota 100 – e le altre misure accompagnatorie per l’uscita anticipata di questi ultimi cinque anni – stanno determinando livelli di spesa non più sostenibili. Di certo, hanno contribuito anche la ripresa dell’inflazione – in particolare per gli alti tassi del 2022 e del 2023, rispetto al decennio precedente sostanzialmente stabile – e lo squilibrio demografico.
Sono sempre di più i pensionati e i lavoratori non più attivi rispetto a quelli attivi. In più, l’andamento della spesa previdenziale è divenuta, sempre più, il parametro di riferimento dei conti pubblici per la Commissione europea. Eventuali sbalzi potrebbero causare procedure di infrazione per lo sforamento del deficit pubblico. E, a tal proposito, dopo gli oltre 337 miliardi di euro di quest’anno, si assisterà a una salita della spesa previdenziale: 345 miliardi di euro il prossimo anno, 368 miliardi nel 2026 e così via.
Strette sulle formule di pensione in vigore e bonus per rimanere al lavoro
In questo scenario, è molti difficile che il governo possa introdurre novità importanti per l’uscita anticipata dei lavoratori dal lavoro. L’andamento dei conti pubblici e della spesa previdenziale, ma anche le proporzioni della popolazione attiva rispetto ai pensionati, lascerebbe intuire che la rotta dell’ultimo decennio deve essere invertita.
Il nuovo input è quello di trattenere i lavoratori il più a lungo possibile e non farli uscire in anticipo dal lavoro. Ne è la conferma la norma che prevede la permanenza a lavoro dei medici, fino a 72 anni di età. Per tutti gli altri si cerca di scoraggiare l’utilizzo dei canali di uscita anticipata.
La quota 103 e l’opzione donna, con il ricalcolo contributivo, stanno già sperimentando questo cambio di rotta. In più quota 103 prevede dei premi sui contributi a carico dei lavoratori per chi rinuncia ad andare in pensione. Indizi che allontanano le facili illusioni di riforma.