La sera del primo maggio del 2022 Alberto Scagni aggredì a morte la sorella Alice, di 34 anni, dopo aver aspettato che uscisse dall’abitazione in cui viveva insieme al marito e al figlio a Quinto, Genova, per portare fuori il cane: da un po’ di tempo i genitori erano preoccupati che, a causa dei suoi disturbi psichiatrici, il 42enne potesse arrivare a compiere un gesto estremo e, mettendosi in contatto con la Asl locale e con il 112, avevano chiesto che venisse fermato e curato.
Nessuno fece niente. Qualche giorno fa il giudice per l’udienza preliminare Carla Pastorini ha archiviato l’inchiesta aperta nei confronti dei due poliziotti e della dottoressa che erano stati denunciati per le presunte carenze nella gestione del caso sostenendo che, in sostanza, non potessero sapere della pericolosità di Alberto perché, da parte dei familiari, non c’erano state, nonostante le diverse segnalazioni, denunce formali.
Secondo l’avvocato Fabio Anselmo, che li assiste e che ha definito la decisione “inaccettabile”, il loro operato fu, al contrario, “gravemente omissivo”: come i genitori di Scagni il legale è convinto che la tragedia poteva essere evitata e per questo avrebbe deciso di rivolgersi anche alla Corte europea dei Diritti dell’Uomo.
Archiviato il filone bis dell’inchiesta sull’omicidio di Alice Scagni: l’intervista all’avvocato Fabio Anselmo
Sull’archiviazione dell’inchiesta
Avvocato, come hanno preso i genitori di Alberto e di Alice la notizia dell’archiviazione dell’inchiesta per omissioni? Andrete avanti?
“L’hanno presa male, come è normale che sia, anche se erano stati ampiamente informati da me sul fatto che il foro di Genova fosse un foro ostile. Detto questo, certamente andremo avanti, ci rivolgeremo sicuramente alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. I poliziotti indagati hanno ammesso che conoscevano Alberto Scagni, che era un paziente psichiatrico, che uno dei due era già intervenuto il giorno prima (quando Scagni aveva dato fuoco al portone dell’appartamento della nonna, ndr) e che insieme si erano posti il problema se intervenire o meno quel giorno, il primo di maggio.
In più, in una drammatica telefonata di 14 minuti, il papà di Scagni aveva riferito loro chiaramente che era stato minacciato di morte e che Alberto, stando alle sue parole, si sarebbe recato a casa loro – a cinque minuti dalla sua abitazione – o a casa della sorella Alice, e loro non si sono mossi solo perché non c’era stata una denuncia formale? È semplicemente ridicolo. Come è ridicolo il fatto che sia stata archiviata la posizione della dottoressa del Centro di Salute mentale a cui i genitori di Alberto si erano rivolti per farlo curare (e che, secondo loro, perse tempo nella sua presa in carico, ndr) nonostante siano state riconosciute delle negligenze a suo carico. Ne prendiamo atto, ma riteniamo che si tratti di principi in punto di diritto e di fatto inaccettabili”.
Il riferimento al filone bis dell’inchiesta nelle motivazioni della sentenza di condanna
Nelle motivazioni della sentenza con cui Alberto è stato condannato a 24 e 6 mesi di reclusione si è fatto riferimento anche a questo procedimento per omissioni. I giudici vi hanno scritto che l’omicidio “sarebbe stato ben arduo da pronosticare per chiunque, prima delle 13 del primo maggio”. Però il delitto si consumò di sera. Non significa che, dalle 13 in poi, qualcosa poteva essere fatto?
“Esatto, si contraddicono: dal momento della telefonata del papà di Scagni, per loro stessa ammissione, si poteva capire che Alberto avrebbe avuto una deriva. Il problema qui è che si vuole difendere l’operato degli agenti (e della dottoressa, ndr), che in questo caso invece, secondo me, è gravemente omissivo”.