Dopo l’omicidio di Willy Monteiro Duarte, uno degli assassini, Mario Pincarelli si sposa in carcere: convola a nozze in prigione con la sua compagna. Fin qui nulla di insolito, se non per il fatto che la fidanzata del giovane di Artena, condannato in via definitiva a 21 anni, si sarebbe innamorata perdutamente di lui, dopo averlo visto in tv ed essere venuta a conoscenza dell’efferato delitto.

Pincarelli è in prigione con l’accusa di omicidio, insieme ai fratelli Bianchi, che si sono macchiati del sangue di Willy, il 6 settembre 2020 nella zona di Colleferro, a Roma. Ripercorrendo quell’orribile momento, che ha segnato la fine della vita del giovane di origine capoverdiana, tornano alla mente la crudeltà e la la ferocia del pestaggio commesso dal gruppo di malviventi.

Cosa può spingere una persona, nello specifico una donna, ad amare un assassino? Da dove nasce l’attrazione verso qualcuno che ha compiuto un crimine così orribile? Ci si può davvero abbandonare alla passione e riuscire a fidarsi di un omicida?

Il caso della fidanzata di Pincarelli non è il primo della storia, basti pensare alle lettere d’amore che riceveva in prigione il serial killer americano Ted Bundy, responsabile di almeno trenta omicidi (solo tra il 1974 e il 1978, ndr.); oppure, restando in Italia, la storia d’amore tra Angelo Izzo, il pluriomicida noto come “il mostro del Circeo”, e la giornalista Donatella Papi.

Tag24 ha affrontato questo tema, partendo dalla storia di Mario Pincarelli, con una riflessione sul fenomeno dell’ibristofilia (questo il nome della parafilia che spinge ad amare un killer, ndr.), insieme alla psicologa e psicoterapeuta Alexia Di Filippo.

Omicidio Willy, Pincarelli si sposa in carcere: come può una donna essere attratta da un assassino?

D: Com’è possibile che una donna possa provare attrazione per un killer? E come riesce a fidarsi?

R: È possibile quando si manifesta una forte attrazione per qualcuno che ha commesso dei crimini, una condizione denominata ibristofilia nel 1986 dallo psicosessuologo John Money. Le ricerche dicono che la scelta di un partner già detenuto, da parte di una donna, affondi le radici nell’attaccamento perturbato con una figura paterna, tipicamente prevaricante ed abusante, in un’ infanzia travagliata perché segnata dalla violenza ed in una scarsa autostima.

Nel rapporto con un criminale può venire inconsapevolmente riattualizzato il legame traumatico col padre, ma anche con un partner violento avuto in precedenza. Può accadere che si provi soddisfazione nell’assecondare il bisogno di dipendenza e controllo dell’altro, favoriti dalla condizione carceraria, che pongono la donna nella posizione di non poter essere abbandonata. Si possono aggiungere necessità di cura e dedizione, rivolti ad aiutare il reo a cambiare e diventare una persona migliore.

La bassa autostima di cui la donna soffre a causa dei suoi trascorsi, la convince illusoriamente di essere al sicuro perché considerata speciale da un uomo che, dimostratosi pronto a tutto, viene da lei percepito quale maschio alfa, in grado di incidere sugli eventi, di proteggerla e di darle dei figli più forti.

Un ultimo aspetto che assume un peso specifico importante nell’ibristofilia, è quello della notorietà di chi ha commesso un grave delitto che inevitabilmente si riflette sulla partner facendola sentire importante ed in alcuni casi assicurandole dei vantaggi secondari quali attenzione mediatica e conseguenti guadagni.

Innamorarsi di un assassino in carcere: l’ibristofilia è una malattia?

La psicologa e psicoterapeuta Alexia Di Filippo spiega in cosa consiste l’ibristofilia e se è considerabile una malattia:

“L’ibristofilia viene considerata una parafilia, una condizione in cui l’eccitazione e l’appagamento sessuale vengono scatenati da oggetti, attività, animali o persone inusuali, nel caso specifico, quindi, da qualcuno che ha compiuto un crimine.

Una parafilia declina in disturbo quando crea disagio significativo o compromissione nella vita quotidiana di chi la manifesta o provoca danno a sé o ad altri. Detto ciò va sottolineato che una ricerca ha disvelato una connotazione romantica dell’ibristofilia piuttosto che sessuale“.

Solo le donne si innamorano dei killer in carcere?

D: Sono più le donne ad essere attratte dai criminali? E se sì perché?

R: Sì, l’ibristofilia riguarda prevalentemente il genere femminile per due principali motivazioni. In primo luogo gli autori di crimini sono soprattutto di sesso maschile. Il secondo motivo richiede una spiegazione più approfondita.

La visione della donna come subordinata all’uomo, grazie ai diffusi stereotipi di genere, favorisce l’instaurarsi legami di attaccamento perturbati delle bambine con i genitori, che determinano lo strutturarsi di problematiche femminili che possono sfociare nell’ibristofilia. Un esempio sono la sindrome della crocerossina, il desiderio autolesionista di esporsi alla riprovazione sociale subendone le conseguenze e la tendenza a riattualizzare i traumi subiti, intessendo relazioni tossiche in posizione di sudditanza.

Pincarelli si sposa in carcere, non è l’unico caso italiano: la storia d’amore tra la giornalista e il mostro del Circeo

D: Come vanno a finire queste storie d’amore che nascono dalle tragedie? Anche in Italia ci sono stati diversi casi famosi, come ad esempio il mostro del Circeo, Angelo Izzo. Il killer ha trovato l’amore dopo essere diventato famoso per la sua crudeltà…

R: Tipicamente non finiscono bene. Un caso molto noto è quello della giornalista Donatella Papi, che nel 2010 sposò in carcere Angelo Izzo, pluriomicida, conosciuto come il mostro del Circeo. La donna aveva dichiarato che fosse l’uomo che aspettava da tutta la vita.

Il vincolo tra i due durerà soltanto un anno, un periodo durante il quale la donna perse l’unico figlio. Un ragazzo di 17 anni che morì a seguito di un incidente stradale, che lei considerò collegato anche alla sua vicenda matrimoniale con Izzo.

La Papi spiegò la rottura del vincolo, dichiarandosi convinta che il marito non fosse responsabile dei delitti a lui ascritti, ma colpevole di altri fatti non ben precisati per cui avrebbe dovuto chiarire la sua posizione con la giustizia.

Questo caso dimostra che, dopo la percezione illusoria dell’inizio, che pure continuava in parte a sussistere, si fosse poi innescato un sentore tragico della realtà riguardo la persona con cui la donna aveva avuto a che fare, tale da non consentirle più di proseguire nel matrimonio.

Tag24 in precedenza ha affrontato con la psicoterapeuta Di Filippo un’altra tematica attuale, sempre legata agli omicidi e alla connessione con la psicologia: da cosa è animato un femminicidio? Dietro questi delitti si nascondo diverse ragioni.