Mentre il buon vecchio album di famiglia ammuffisce in qualche scatolone in soffitta, i neo-genitori social-addicted preferiscono esporre sulla pubblica piazza virtuale le foto o i video dei loro figli. Ecco, quindi, che sempre più spesso senza filtri né riguardi nei confronti dei più piccoli, circolano sul web centinaia di migliaia di dati sui minori.

A fare specie, soprattutto, è la naturalezza con la quale molti genitori “sfruttano” i bambini come veri e propri baby influencer. Oppure li sfruttano per attirare followers, spammando presunte famiglie perfette. Che questi genitori siano inconsapevoli dei rischi che corrono i loro figli sulla rete? La normalizzazione di postare qualsiasi cosa sui social, pur se appartenente alla sfera privata, ha davvero radici così profonde?

È così che circolano più di frequente espressioni come “baby influencer” e “sharenting” sulle pagine dei giornali e fra gli hashtag delle principali piattaforme. Allora, davanti a tutto ciò, qualcuno potrebbe chiedersi: la tutela dei minori dov’è? Dov’è la Legge?

La proposta di legge Sportiello sullo Sharenting: “L’Italia è in ritardo, ma possiamo ancora agire”

Dopo i più recenti casi mediatici che hanno visto coinvolti bambini e figli di personaggi noti, il Paese si trova a dover fronteggiare la lacuna legislativa sulla tutela dei baby influencer e sulla regolamentazione dello sharenting.

Si è tenuta, quindi, oggi, 11 aprile, a Montecitorio la conferenza stampa dedicata alla proposta di legge della deputata del Movimento 5 Stelle Gilda Sportiello riguardo l’esposizione dei minori sulle piattaforme social.

A Michele Lilla, giornalista di TAG24, Sportiello ha risposto ad alcune domande sul disegno di legge da lei proposto.

D: Lei è la prima firmataria di una proposta di legge per la tutela e la regolamentazione della presenza dei minori sui social network. Siamo un Paese un po’ in ritardo: in Europa, per esempio, la Francia ha già normato su questo. Cosa ci differenzia rispetto agli altri Stati?

R: Siamo in ritardo, ma non tanto perché anche gli altri Paesi si stanno muovendo adesso. Penso alla Francia, ma penso anche a quello che sta accadendo negli Stati Uniti. Ci sono stati arresti di influencer che testimoniavano dei metodi educativi molto rigidi, che, poi, si è scoperto sfociare in violenze sui propri figli. Penso a inchieste del New York Times che testimoniano, addirittura, che alcuni genitori, alcune madri vendano dei contenuti a pagamento sulle proprie bambine, per soddisfare le richieste degli utenti che arrivano dalle piattaforme. Questa cosa la trovo gravissima. Quindi, anche noi come Italia, dovremmo intervenire perché c’è un vuoto legislativo che non è più tollerabile e che, di fatto, espone i minori a dei pericoli, sia sulla propria persona per quanto riguarda al loro integrità psico-fisica, sia per quanto riguarda dei reali rischi fisici e di dove vanno a finire questi dati.

D: È difficile imporsi come Stato unico rispetto a grandi piattaforme internazionali, che, in realtà, hanno sede in Paesi extraeuropei. Non sarebbe più opportuno intervenire con norme Comunitarie?

R: Io credo che ci siano diversi livelli di intervento. Sicuramente quello Comunitario è quello che può avere anche degli effetti dirompenti sulle piattaforme, ma quelli degli Stati nazionali servono a dare maggiore forza ai livelli di intervento superiori. Soprattutto, servono per responsabilizzare, o comunque a fare informazione sui genitori. In ogni caso, per esempio, legiferare il fenomeno delle baby influencer, che è a tutti gli effetti un lavoro, che genera profitti, è necessario. Altra cosa è fare, poi, pressione sulle piattaforme.

D: Qualche settimana fa, un altro gruppo parlamentare, Alleanza Verdi Sinistra, ha presentato un disegno di legge sullo stesso argomento. Anche voi prevedete una gestione, da parte normativa, della monetizzazione generata dai post di minori?

R: Io non ho ancora letto il testo di Alleanza Verdi Sinistra, perché quando ho presentato il mio testo non ce n’erano altri depositati e al momento non è disponibile sul sito della Camera. Però, sì, anche noi prevediamo assolutamente che sia nominato dal tribunale un curatore speciale che possa gestire i proventi derivanti da queste attività nell’interesse esclusivo del minore.

Sharenting, Dott. Ferrara: “Provoca gli stessi danni organici e biochimici dell’abuso sessuale e del maltrattamento fisico”

Fra le autorevoli voci intervenute alla conferenza, anche quella del dottor Pietro Ferrara, referente Nazionale per Maltrattamento e Abuso e Rapporto con Garante dell’Infanzia e Adolescenza della Società Italiana di Pediatria.

Impossibile, infatti, non imbattersi quotidianamente in profili creati ad hoc di bimbi di tutte le età ripresi in contesti familiari o mentre si atteggiano a stelle dei social. Per non parlare dei viralissimi video dei figli di noti influencer o personaggi dello spettacolo.

Ferrara ha dichiarato che:

Sono tre le destinazioni principali di queste foto e video: Facebook, Instagram e Twitter. Su queste piattaforme, la presenza online di bambini al di sotto dei 2 anni è di circa il 73% – secondo i dati europei. Addirittura 1 bambino su 3 (più del 33%) al di sotto dei 6 mesi.

L’Italia sta seguendo un ritmo non virtuoso perché le foto di bambini che diventano famosi già prima di nascere, con le loro ecografie prenatali rappresentano il 14%. Questa percentuale in Francia è del 13% e del 15% in Germania. Inoltre, uno studio europeo dimostra che il 90% dei genitori nomina il proprio figlio, mentre il 68% ne dice anche la data di nascita, accrescendo così il rischio di furto di identità e di tutto ciò che ne consegue. Più del 50% pubblica addirittura foto inappropriate, in semi nudità, che fa diventare il bambino preda di siti pedopornografici.

Un lavoro svedese fatto su bambini dai 5-6 anni fino ai 14 anni valuta, in una scala da 1 a 10, che sensazioni provassero questi minori quando, da più grandi, rivedevano le loro foto postate dai genitori. Anche in questo caso i dati sono inequivocabili. Più del 50% dei bambini ha dichiarato di non condividere l’azione dei genitori di postare le loro foto senza che sia stato chiesto loro alcun consenso.

La cosa più sconcertante, però, è la totale disinformazione che caratterizza questi genitori. Infatti, molto spesso, quello che può sembrare un innocuo video o una semplice foto ha effetti potenzialmente devastanti sul bambino. Non solo il minore, crescendo, potrebbe sviluppare ansie, paranoie sul proprio aspetto fisico o insicurezze, ma potrebbe anche essere vittima, appunto, di pedofili e bullismo.

Su questo punto il dottor Ferrara è stato molto chiaro:

L’accento è sulla patologia delle cure, che rientra in una forma di maltrattamento. Tutto ciò rientra a pieno titolo in quelle che oggi in medicina e pediatria vengono chiamate “esperienze negative nell’infanzia”, che hanno gli stessi danni organici e biochimici dell’abuso sessuale e del maltrattamento fisico.

Lucarelli: “Bimbi trattati come contenuti e non come esseri umani”

Interventa durante la conferenza stampa l’opinionista e giornalista Selvaggia Lucarelli. La blogger ha richiamato alla memoria i casi di Leone e Vittoria Lucia Ferragni e del figlio di una nota influencer di nome Giulia.

In particolare, Lucarelli ha fatto riferimento al modo in cui il web e i media tradizionali hanno parlato dei figli di Chiara Ferragni e Fedez:

Nel caso dei Ferragnez, i genitori hanno condiviso migliaia di video e immagini dei minori, arrivando a pubblicare anche immagini delle telecamere di videosorveglianza all’interno della casa. Nel momento in cui è arrivata la rottura mediatica tra i due, la gestione della privacy dei minori è diventata cosa pubblica, con questi bambini che ad un tratto vengono fotografati continuamente nella loro quotidianità, ma di spalle.

Succede che il web discutono della sorte mediatica di questi bambini come se non fossero più esseri umani con la loro libertà di autodeterminazione, ma di contenuti che devono essere fruibili o non fruibili al pubblico. I bambini, a un tratto, sono di schiena e i follower si lamentano come se fosse andato via il segnale di Dazn, per fare un’analogia.

Sulla stessa falsariga anche il figlio di una influencer, Giulia. Mamma diventata famosissima sul web perché condivideva le immagini della sua famiglia allargata, con figli di padri diversi che vivevano allegramente insieme.

Molti video ritraevano addirittura le famiglie trascorrere le festività insieme. Armonia e felicità a tutto spiano, finché l’incanto viene spezzato dalla scoperta che l’influencer ha sempre mentito circa l’identità del padre di uno dei figli. Il padre non è quello che lei aveva sempre indicato come tale. Lucarelli spiega:

Questo fatto provoca una reazione feroce delle sue followers – parliamo di centinaia di migliaia – che l’accusano di averle tradite. Di aver sfruttato la narrazione della famiglia allargata perfetta e, soprattutto, di aver sfruttato l’immagine dei figli per scrivere libri e vendere post pubblicizzati con prodotti per bambini. Ora, l’ondata di odio che arriva addosso a questa mamma è tale che lei deve chiudere la pagina e sparire. Il punto è che lei può decidere di ritirarsi, possono interrompersi le attività commerciali, ma sul web rimarrà per sempre traccia di questa vicenda che tocca un minore, il quale, un domani, potrà leggere la sua storia delicata su Google.

In entrambi i casi, il grande assente della storia è la Legge. Il problema, quindi, risiede proprio a monte, non nella risoluzione dei singoli casi. Infatti, molto spesso giudici e avvocati si trovano a confrontarsi con qualcosa di cui non hanno alcuna conoscenza, magari non sanno neppure cosa sia lo sharenting.