Risparmio, record negativo per i risparmiatori italiani: secondo i dati ISTAT la capacità di risparmiare è peggiorata nel corso degli ultimi dodici anni.

Il peggioramento dello scenario è dovuto all’incremento delle imposte da versare e all’inflazione. Secondo i dati pubblicati dall’Istituto Italiano di Statistica la capacità degli italiani nel risparmiare è peggiorata: le imposte ha subito un incremento di oltre 24 miliardi di euro. L’aumento interessa le ritenute sui redditi da capitale e sul risparmio gestito, oltre che sull’Irpef.

Risparmio, record negativo per gli italiani

Nel corso degli ultimi dodici anni la capacità di risparmiare degli italiani è peggiorata: il potere di acquisto è in netto calo per il secondo anno consecutivo. Ciò è dovuto al rally del trend inflazionistico e ad un Fisco che vuole “colpisce” duramente le famiglie italiane. Lo scenario fotografato dall’Istat dello scorso anno mette in evidenzia un’Italia in affanno.

Due eventi macroeconomici hanno segnato i conti pubblici nazionali: la crisi pandemica e la crisi innescata dal conflitto bellico Ucraina-Russia. I nuclei familiari italiani sono alle prese con all’abolizione del Reddito di Cittadinanza e con la drastica riduzione delle misure di supporto contro i rincari energetici. Secondo i dati registrati dall’Istat, il tessuto imprenditoriale ha continuato a registrare misure di sostegno economico sia dall’Europa e sia dalla Pubblica Amministrazione italiana.

Lo scorso anno i contributi pubblici sono stati pari a oltre 55 miliardi di euro per il tessuto aziendale italiano. Rispetto al 2022 si è registrato un calo da 58 miliardi di euro a 55 miliardi di euro nel corso del 2023. Secondo il Codacons c’è un’”inflazione cumulata”: nel corso degli ultimi due anni si è assistito ad un aumento dei prezzi del 5,7 percento nel corso del 2023 e di oltre otto punti percentuali nel corso del 2022.

La corsa dei prezzi ha messo in enorme difficoltà le famiglie italiane: gli studiosi ritengono che si sia registrato un incremento cumulato dei prezzi di quasi 20 punti percentuali. Il reddito disponibile delle famiglie italiane ha subito un aumento di meno di 5 punti percentuali, ma al netto del trend inflattivo il potere di acquisto delle famiglie si è ridotto di mezzo punto percentuale.

Le famiglie italiane risparmiano meno

Il carrello della spesa è cresciuto di 6,5 punti percentuali e la propensione al risparmio dei nuclei familiari italiani è calata da otto punti ad oltre sei punti percentuali, toccando il minimo nel corso degli ultimi trenta anni. Nel corso dell’ultimo trimestre 2023 i risultati sono stati positivi e la propensione al risparmio ha imboccato il trend rialzista di sette punti percentuali.

Dopo aver accumulato risparmi nel corso della pandemia con le restrizioni imposte dal governo, una buona fetta di italiani è tornata a investire sul mercato obbligazionario, in particolare sui BoT e sui BTp. Ma, al contempo, c’è il Fisco che “pesa” sulle tasche delle famiglie e delle imprese italiane. Proprio il 2023 è stato ribattezzato come l’”annus horribilis”.

Le imposte pagate dalle famiglie italiane hanno subito un aumento di quasi 25 miliardi di euro, con un incremento di dieci punti percentuali per l’Irpef e l’incremento di oltre 20 punti percentuali per quanto concerne le ritenute sui redditi da capitale. Come sottolineato dall’Istat, il saldo degli interventi di redistribuzione ha sottratto ai nuclei quasi 119 miliardi di euro.

Crollo dei risparmi degli italiani: è tutta colpa dell’inflazione?

Secondo Confesercenti le imposte hanno segnato un incremento di oltre due miliardi euro, ma ha un peso determinante anche l’inflazione che ha rallentato la sua “corsa”. Nel corso dell’ultimo trimestre il gettito dell’Irpef ha subito un doppio incremento rispetto all’incremento dei redditi da lavoro autonomo e dipendente.

Un interessante aiuto arriva dal taglio del cuneo fiscale, che ha ridotto l’ammontare di contributi previdenziali pagati dai lavoratori dipendenti, ma non dagli autonomi. I contributi di questi ultimi sono aumentati di oltre sette punti percentuali rispetto all’incremento dei redditi. Gli sgravi fiscali dovrebbero essere estesi anche alle categorie più deboli dei lavoratori autonomi.