Il 7 aprile del 1994 iniziava il massacro in Ruanda, 100 giorni di stupri, violenze e uccisioni nel Paese dell’Africa orientale senza sbocchi sul mare, dove fino ad allora avevano convissuto due etnie di provenienza diversa, gli hutu, per tradizione agricoltori e i tutsi, allevatori.
Gli Hutu, la maggioranza della popolazione, furono istruiti ed evangelizzati e supportati da teorie razziste e da iniziative europee come quella belga della carta d’identità con l’appartenenza etnica, iniziarono a credere di essere geneticamente superiori ai loro connazionali. Furono gli estremisti Hutu il 7 aprile che con le loro milizie Hutu scatenarono la carneficina.
Il 6 aprile del 1994 l’aereo su cui volava il presidente del Ruanda, Juvénal Habyarimana, e il presidente del Burundi, Cyprien Ntaryamira, entrambi di etnia hutu, fu colpito da due razzi quando era in fase di atterraggio a Kigali, non si salvò nessuno. Il giorno dopo iniziava un massacro: 800mila persone vennero uccise solo per la loro provenienza etnica.
30 anni fa il genocidio nell’indifferenza occidentale
Il genocidio in Ruanda nel giro di 100 giorni, dal 7 aprile alla metà di luglio del 1994 costò la vita ad almeno 800 mila persone tutsi, ci furono decine di migliaia di stupri e bambini arruolati come soldati. Ma vennero massacrati anche 30 mila hutu cosiddetti moderati, che si rifiutarono di partecipare al massacro o che nascosero e difesero persone tutsi. Tutto questo nell’indifferenza totale delle Nazioni Unite che non intervennero e lasciarono protrarre il massacro. La guerra terminò solamente il 4 luglio quando il FPR (milizie ribelli del Fronte patriottico ruandese) conquistò il potere.
Perché si commemora con una candela
In linea con la tradizione, il 7 aprile il presidente del Ruanda Paul Kagame commemorerà questa giornata di lutto nazionale con l’accensione di una fiamma commemorativa, al Kigali Genocide Memorial, dove si ritiene siano sepolte più di 250mila vittime.