I diritti delle donne in Afghanistan, dopo il ritorno dei Talebani al potere, di fatto non esistono più. Il recente inserimento della lapidazione come prassi per punire il reato di adulterio, all’interno del corpo normativo che regola lo Stato, è il simbolo dei una profonda crisi della civiltà.
Dati preoccupanti rivelano la situazione di emergenza umanitaria in cui si trova il Paese: il diritto alla vita, alla libertà, all’istruzione, al lavoro e alla protesta sono stati praticamente cancellati dal regime, che a detta di molti esperti sul tema, sta mettendo in atto una vera e propria politica di apartheid di genere. Questa è l’espressione utilizzata in un’intervista per Tag24 da Riccardo Noury, che dal 2003 è il portavoce di Amnesty International Italia, l’organizzazione non governativa per la difesa dei diritti umani.
Con Noury abbiamo approfondito la questione della condizione delle donne in Afghanistan, partendo dall’introduzione della lapidazione nel sistema legislativo, passando per la crisi dei diritti nel Paese, per poi concludere con una riflessione sul presente e sulle responsabilità della comunità internazionale.
La lapidazione delle donne in Afghanistan è ad oggi una pratica consentita dalla legge: il governo dei Talebani l’ha inserita, senza alcun tipo di remora, tra le leggi in vigore nello Stato, sotto gli occhi impotenti – o indifferenti? – della comunità internazionale. Una notizia shock per l’Occidente, considerato una “pericolosa minaccia” ed equiparato a “Satana” dal mullah Azhundzada, le cui parole sulla lapidazione sono risuonate fino a noi, come il tragico rintocco di una campana a morte.
La lapidazione delle donne in Afghanistan: una premessa
La lapidazione è una pena di morte di origine molto antica, di cui si è parlato per la prima volta nella Bibbia. Era usata per punire prostitute, adultere, assassini, apostati e omosessuali. La finalità è quella di punire il colpevole imputato di uno di questi reati attraverso l’espiazione pubblica della colpa. Il lancio delle pietre avveniva per mano degli stessi accusatori del condannato, coperto da massi fino alla vita.
Oggi è ancora presente nella giurisdizione di alcuni Stati musulmani – in lingua araba è conosciuta come Rajm – come l’Iran (dove era stata abolita e poi ripristinata dal governo nel 2013), Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi Uniti, Afghanistan; poi in Bahrein, Brunei, Pakistan, Nigeria, Sudan, Yemen, Somalia e Mauritania.
Tag24 ha approfondito la notizia dell’inserimento di questa orribile e disumana pratica tra le leggi in vigore in Afghanistan, per punire il reato di adulterio, con il portavoce di Amnesty International Italia, Riccardo Noury.
Diritti delle donne in Afghanistan, Amnesty: “Ormai possono solo respirare, è un’apartheid”
D: La lapidazione è una pena che è stata sempre attuata in Afghanistan, soprattutto nelle zone più rurali del Paese, che ora trova anche una giustificazione normativa, oltre che alla crudeltà e alla follia a cui inneggiano i Talebani. Come ha reagito Amnesty a questa terribile notizia? Per i diritti umani è una sconfitta…
R: Sono circa 14 milioni, tra donne e ragazze, che dal 15 agosto 2021 – da quando i Talebani hanno via via introdotto misure repressive – hanno subito una violazione completa dei loro diritti. Il regime ha iniziato bloccando l’istruzione, fermandola alle sole scuole elementari.
Hanno imposto limitazioni sempre più crescenti alla partecipazione nei luoghi di lavoro pubblico e privato. Hanno ridotto la loro libertà di movimento, istituendo norme che impongono loro di essere accompagnate da un tutore maschile. Fino poi ad arrivare a questo tragico ulteriore sviluppo, che riporta l’orologio indietro esattamente al periodo del primo tremendo dominio dei talebani, quindi dal 1996 al 2001.
Possiamo dire come conclusione che alle donne in Afghanistan è rimasto solo il diritto di respirare e, per qualunque azione compiano nella sfera pubblica o privata, rischiano di subire delle pesanti sanzioni. La ripresa delle lapidazioni da questo punto di vista nei confronti dell’adultere è gravissima, è qualcosa su cui il mondo non dovrebbe rimanere in silenzio. Ormai per definire la situazione in Afghanistan si parla di apartheid di genere nei confronti delle donne. Siamo di fronte ad un quadro di negazione completa totale dei loro diritti.
Noury (Amnesty): “Punire l’adulterio con la lapidazione è simbolo del sistema misogino in Afghanistan”
D: Il fatto che questa pratica venga attuata per punire un reato specifico come l’adulterio e che sia progettata – quasi a tavolino – contro le donne, lascia immaginare quale sia la situazione attuale in Afghanistan. Discriminazioni di genere sono all’ordine del giorno anche in altri paesi del Medio Oriente..
R: Ci sono molte zone del mondo in cui applicazioni specifiche delle norme islamiche producono un sistema di discriminazione nei confronti delle donne in qualunque aspetto della loro vita, che vada al diritto di partecipazione, al diritto di protesta, al diritto di famiglia.È un sistema che le discrimina sin dalla nascita.
In alcuni di questi Stati, ad esempio, si puniscono i delitti d’onore, attuati anche nei confronti delle donne che recano danno alla reputazione della famiglia. Si considera un reato penale l’adulterio, con conseguenti pene che possono andare dalle frustate fino anche alla lapidazione.E’ un sistema misogino, patriarcale, che colpisce le donne a causa del loro genere, producendo una violenza di Stato nei loro confronti e il mondo sembra che sia abbastanza distante da questo…
Amnesty: “L’Afghanistan è stato dimenticato dall’Occidente. Si parla solo di guerre in tendenza, come hastag sui social”
D: L’Afghanistan è uno di quei Paesi finiti nel dimenticatoio: l’attenzione internazionale punta attualmente tutta sul conflitto in Medio Oriente, la situazione nella Striscia di Gaza. In Europa si guarda solo alla guerra tra Russia e Ucraina…Perché l’Afghanistan viene dimenticato secondo lei?
R: I motivi per cui l’Afghanistan è stato dimenticato dall’Occidente sono due. Intanto perché l’attenzione della comunità internazionale – e anche dei media – ormai funziona sempre più come una sorta di hashtag o di tendenze di un social, quindi c’è un tema di attualità, dopo un mese si cambia e così via. Quindi di Afghanistan si è parlato quando al potere sono tornati i Talebani, per due settimane, fino a quando è terminata l’evacuazione di oltre centomila persone che erano in pericolo di vita.
Dopodiché gli uomini del regime hanno iniziato la loro caccia alla donna e, nel frattempo, l’attenzione si era spostata progressivamente altrove. Successivamente lo scoppio della guerra tra Russia contro Ucraina ha dominato la scena, poi è arrivato il movimento “Donna Vita Libertà” in Iran e dopo sono arrivate Gaza e altri temi.Guardare un caso per volta, come se fosse l’hashtag che domina, non funziona e non risolve nessuna crisi.
La seconda ragione è perché le opzioni a disposizione sono limitate per la comunità internazionale. Noi abbiamo visto che i Talebani sono tornati a distanza di vent’anni dalla loro sconfitta e hanno riportato l’orologio indietro, esattamente dove l’avevano lasciato. Il che vuol dire che 20 anni di guerra, di occupazione, di controllo militare sono stati un fallimento. E appena gli Stati Uniti hanno deciso di andarsene, non hanno preso il minimo impegno riguardo ai diritti umani. La comunità internazionale sa di aver fallito.
Il risultato è che una popolazione di decine di milioni di abitanti è ridotta alla fame e versa in gravissima condizione di crisi umanitaria. Il popolo è braccato per motivi di repressione di genere, c’è una povertà sconfinata, delle pratiche terribili come quella delle spose bambine, perché si tratta sempre di sopravvivere. Una madre è costretta a scegliere se far morire la figlia di povertà o darla a un uomo che forse le garantirà un futuro.
Donne in Afghanistan: il fallimento della comunità internazionale
D: Cosa può fare in concreto la comunità internazionale per aiutare le donne in Afghanistan? Cosa fa Amnesty International?
R: Intanto quello che può fare la comunità internazionale è pretendere che le risoluzioni adottate vengano applicate dall’Afghanistan. Può avere una presenza all’interno del Paese per monitorare la situazione, raccogliere prove di quanto accade. La giustizia internazionale deve andare avanti perché c’è un’indagine sull’Afghanistan, aperta ormai anni fa, che non va avanti perché nel frattempo ci sono questione ancora più urgenti. Gli Stati che hanno influenza sull’Afghanistan devono premere sulle autorità di Kabul perché questo crimine contro l’umanità, legato alla persecuzione di genere, finisca subito.
Il compito di Amnesty International e delle organizzazioni per i diritti umani è tenere alta l’attenzione, fare denunce, pretendere dai politici decisioni e che agiscano su questioni importanti, chiedere aiuto ai mezzi di informazione per ricordare.
D: Quanto è lontana l’abolizione della pena di morte in paesi come l’Afghanistan?
R: Non è nemmeno in vista. Ci sono state esecuzioni diverse in Afghanistan lo scorso anno, ce ne sono state anche nel 2024. La pena di morte non è quasi mai un fenomeno isolato in un paese, cioè è tipica di Stati in cui ci sono altre violazioni di diritti umani, quindi è quel sistema lì che deve cessare. In Paesi come Afghanistan, Iran, Cina serve una riforma più ampia, che favorisca il rispetto di tutti i diritti.
Le donne che già vengono frustate in pubblico, quelle che messe a morte a colpi di pietra, sapranno perfettamente, nell’ultimo istante in cui riceveranno l’ultima frustata, l’ultimo sasso addosso, che questo è stato reso possibile dalla comunità internazionale e dalla sua indifferenza.