Virus, batteri, emergenze e disastri: ne parliamo nella rubrica “Non solo trentatré”, curata dai Prof. Claudio Loffreda-Mancinelli ed Enrico Ferri, con il contributo del Prof. Gavin Harris.
Professore di Medicina presso la Emory University di Atlanta, Georgia, USA, con doppio incarico in Critical Care Medicine e Malattie infettive. Il Dr. Harris è un esperto in materia di cure cliniche per adulti presso il National Emerging Special Pathogens Treatment and Education Center (NETEC) degli Stati Uniti, dirige corsi di preparazione per agenti patogeni speciali per gli Stati Uniti sudorientali ed è un esperto in materia di minacce biologiche presso l’US Southern Regional Sistema regionale di emergenza. È un co-responsabile di terapia intensiva per l’Unità di malattie trasmissibili gravi di Emory, il direttore medico per i webinar educativi ECHO del programma di malattie trasmissibili della Emory University ed è un medico di ruolo con l’unità di biocontenimento, nota come SCDU.
Virus, batteri, emergenze e disastri
Q: Professor Harris, sempre più frequentemente si sente parlare di disastri. Come mai?
Verissimo. Eventi biologici, chimici, nucleari o esplosivi, sono tra le forme di disastri più comuni. Ognuna di queste minacce può verificarsi in tre modi diversi: naturalmente, accidentalmente o intenzionalmente. Dalla natura e presentazione di questi fenomeni deriva il modo in cui possiamo prepararci ad affrontarli.
Negli ultimi anni le minacce biologiche hanno creato non pochi problemi. Cercherò di spiegarne le ragioni.
Sono più di un miliardo le persone che attraversano i confini internazionali ogni anno. Negli USA abbiamo 350 milioni di viaggiatori che entrano nel Paese in uno dei 300 punti di ingresso. In Italia, grazie soprattutto al proprio patrimonio artistico, nel 2022 si è registrato un numero totale di ben 400 milioni di turisti. Ogni minaccia biologica può facilmente diventare un problema potenziale per molti paesi data la mobilità presente nel mondo di oggi. Questo può accadere spesso senza preavviso. Queste minacce sono persistenti, possono provenire da più fonti, i rischi aumentano con il mondo che diventa più popolato, più urbanizzato.
Man mano che le condizioni climatiche cambiano, questi problemi sembrano essere più diffusi.
Dobbiamo poi prendere in considerazione il fatto che questi problemi non solo accadono naturalmente, ma possono essere causati direttamente dall’uomo. Politici senza scrupoli, gruppi di terroristi, militari, fanno uso di armi biologiche. Man mano che la scienza avanza, vediamo svilupparsi le produzioni di nuovi agenti, nuove armi chimiche, batteriologiche, che troppo spesso questi gruppi, al di fuori di ogni controllo, sono in grado di acquisire.
Q: Professore, quali sono le più frequenti conseguenze immediate causate da malattie infettive?
Le malattie infettive non rispettano i confini, gli eventi biologici influiranno sicuramente sulla catena di produzione. Per questi motivi la cooperazione multisettoriale e multilaterale tra il settore pubblico e quello privato è estremamente cruciale. Le risposte devono avvenire rapidamente a livello locale, nazionale e internazionale.
Quando c’è una pandemia, una calamità naturale, è relativamente facile ottenere un finanziamento o una dichiarazione di stato di calamità, ma rimossa la minaccia, una volta che le persone tornano alla vita di tutti i giorni, tutto viene troppo facilmente dimenticato. Eliminata, mitigata o controllata la fase acuta, l’esperienza viene spesso purtroppo dimenticata e il comportamento generale è che non sia necessario preoccuparsi più di tanto. C’è la tendenza a tornare alla nostra vita. Spesso non vengono stanziati fondi, piani, energie per prepararsi al prossimo eventuale problema, a rischi potenziali o futuri.
Q: Come ci si prepara ad un disastro
Esistono diverse fasi della gestione dei disastri. Una fase preliminare o di avvertimento, in cui pochi segnali ci avvertono che qualcosa sta per accadere, c’è poi la fase dell’evento vero e proprio che innesca una risposta e, al termine di tutte queste, c’è una fase di recupero. La fase di recupero a volte può continuare per anni in maniera quasi silente, senza che le persone ne siano a conoscenza o perché’ c’è una assuefazione alla nuova realtà. Difficilmente c’è una vera e propria fase di recupero in cui si analizza cosa è andato storto, cosa può essere migliorato. Questo atteggiamento è la causa maggiore che impedisce o limita una vera preparazione verso futuri disastri.
Q: Professore come si interagisce con la gente durante un disastro?
Soprattutto nella fase acuta di un disastro, la comunicazione rappresenta uno degli strumenti chiave. Non è sempre adeguata. È fondamentale adattarla alle esigenze della popolazione, per evitare fraintendimenti, confusione, per sensibilizzare tutti sull’importanza di regole, leggi, suggerimenti e per ottenere fiducia e sostegno. Un’analisi condivisa dei problemi, dei dati a disposizione, anche con l’ausilio dei social media, può rappresentare una sfida, ma importante per ottenere la fiducia da parte della comunità, che in questo modo riusciremo a proteggere più facilmente.
È importante fornire fatti piuttosto che consentire un’interpretazione spesso errata di quanto succede, col risultato di creare opinioni discordi e inutili. Purtroppo, a volte gli “esperti” per motivazioni politiche, culturali, egoistiche sono pessimi o poco lucidi nel comunicare, contribuendo, in questo caso, ad uno stato di incertezza, confusione, iniquità.
Non confondiamo inoltre l’incapacità di comunicare, con la necessità di esprimere opinioni che possono essere, nel tempo, contraddittorie. Ciò può essere correlato al fatto che alcune minacce, soprattutto se nuove, e di cui si ha poca o nessuna esperienza o dati statistici, sono spesso molto dinamiche. Ciò che apprendiamo su di esse cambia molto velocemente. Con la capacità di comunicazione dobbiamo essere in grado di spiegare questi scenari per evitare enormi confusioni.
Q: Qual è la situazione generale?
L’anno scorso, quasi 300 milioni di persone hanno avuto bisogno di assistenza nel mondo, con un aumento del 20% rispetto all’anno precedente. Si temeva che almeno 50 milioni avrebbero dovuto affrontare condizioni gravi come la siccità, la fame, esacerbate dai cambiamenti climatici o dai conflitti. Un peggioramento di quegli eventi si è già visto nel 2023 con il terremoto di Siria e Turchia, e l’esacerbarsi della guerra in Ucraina. Abbiamo affrontato uno dei peggiori focolai di influenza aviaria, l’H5N1, che si sta diffondendo a diversi mammiferi, con conseguenti ceppi sulla catena di distribuzione dei prodotti lattiero-caseari, con milioni di animali soppressi, con grandi implicazioni socio-economiche. Sebbene non abbiamo visto una trasmissione significativa agli esseri umani, c’è la preoccupazione che ciò possa verificarsi.
Un tale problema richiede il coinvolgimento di molteplici parti interessate: allevatori, veterinari, economisti, medici, un approccio collaborativo.
Q: I disastri si possono prevedere?
Certo, molti di essi. Con un migliore sistema di previsione e allerta precoce i rischi di disastri possono essere quantomeno ridotti. Le statistiche mostrano che il 50% dei disastri, indipendentemente dalla loro origine, può essere previsto. Purtroppo, solo l’1% dei finanziamenti e delle infrastrutture è stanziato a questi fini. In realtà il fatto che spesso reagiamo solo alla fase acuta di questi disastri è la più vera. Le Nazioni Unite hanno già iniziato a creare metriche da utilizzare quando si verificano disastri e innescano la necessità di agire, riducendo così la gravità della fase acuta introducendo un tempo di reazione più breve, in modo da ridurre le conseguenze e salvare vite umane.
Infine, abbiamo bisogno di un migliore apprendimento oltre i confini, incoraggiando l’istruzione, promuovendo la consapevolezza. Bisogna superare le differenze politiche, sociali, economiche. Gli interessi personali nazionali sono spesso in gioco, ma il mondo è troppo interconnesso per risolvere i problemi in modo indipendente. Dobbiamo riconoscere che se vogliamo ottenere risultati ottimali, dobbiamo capire che siamo tutti collegati e tutti a rischio.
Q: Come spiega le recenti epidemie e pandemie?
Il 75% di tutte le malattie emergenti per l’uomo, sono di origine animale. Questa non è una novità. Negli antichi scritti egizi abbiamo trovato prove di malattie provenienti da animali, soprattutto domestici. Come abbiamo detto, non si tratta di una novità, ma il fenomeno sta aumentando rapidamente. Negli ultimi 2 decenni abbiamo assistito a diversi problemi: nel 2003 abbiamo avuto l’epidemia di SARS, MERS nel 2012, che continua ancora ad avere focolai e, naturalmente, abbiamo avuto la pandemia di COVID. Abbiamo anche focolai di influenza, virus Ebola, febbri emorragiche, che provengono da altri animali come zecche, ratti e pipistrelli in tutta l’Asia. Tutti problemi che sono esistiti nel corso della storia umana, ma, probabilmente non con questa frequenza o con questo grado di aggressività.
Una varietà di fattori potrebbe aver giocato un ruolo in questo scenario. Gli esseri umani vivono più a lungo, l’aumento delle aree urbane ha causato una diminuzione della biodiversità, e quando ciò accade aumenta il rischio che una malattia si diffonda più velocemente in una popolazione. Anche i conflitti violenti contribuiscono a questo scenario, così come l’aumento dei viaggi aerei. A peggiorare le cose, il sottofinanziamento delle iniziative di scienza, istruzione, tecnologia, programmi, in tutto il mondo, è direttamente correlato all’indebolimento di piani e iniziative e progetti che hanno lo scopo di proteggerci. Tutto questo nonostante il fatto che nuove minacce e malattie siano aumentate.
Q: Quindi non si sta agendo in modo appropriato?
Assolutamente no, o, almeno non si fa abbastanza. L’esperienza e la storia dovrebbero innescare decisioni e azioni giustificate da ciò che è accaduto e continua ad accadere.